“Quale diritto è migliore?” ne
“I signori del diritto. Giudici, legislatori e professori nella storia europea”
di R. Van Caenegem
di Cesare Gesmundo
Sommario: 1. Considerazioni introduttive; 2. Il caso Francese quale caso Europeo; 3. L’obbligo d’interpretazione conforme ovvero la giurisprudenza quale fonte del diritto; 4. Dalla interpretazione conforme alle possibili ricadute nel sistema penale italiano.
1. Considerazioni introduttive.
La Corte di Giustizia Europea, con la sentenza del 6 Dicembre 2011 Achughbabian, causa C-329/11, è ritornata sulla questione relativa alla “compatibilità” della legislazione penale interna (in particolare quella francese) alla direttiva europea 2008/115/CE che disciplina i rimpatri degli stranieri.
Con una decisione ricca di spunti interpretativi della normativa comunitaria in tema di immigrazione (scopi, finalità e prospettive), il Giudice di Lussemburgo getta le premesse per una nuova questione di “disapplicazione” della normativa interna (per quel che riguarda l’Italia la legge nr. 89/11 e l‘art 10 bis t.u immigrazione) a favore di quella comunitaria.
Sulla scia della sentenza EL DRIDI, la Corte, interpretando complessivamente detta direttiva (ed affermandone la portata diretta nell‘ordinamento interno), statuisce che “la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 dicembre, 2008/115/CE, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, dev’essere interpretata nel senso che essa:- osta alla normativa di uno Stato membro che reprime il soggiorno irregolare mediante sanzioni penali, laddove detta normativa consente la reclusione di un cittadino di un paese terzo che, pur soggiornando in modo irregolare nel territorio di detto Stato membro e non essendo disposto a lasciare tale territorio volontariamente, non sia stato sottoposto alle misure coercitive di cui all’art. 8 di tale direttiva, e per il quale, nel caso in cui egli sia stato trattenuto al fine di preparare e realizzare il suo allontanamento, la durata massima del trattenimento non sia stata ancora superata;
– non osta a siffatta normativa laddove essa consente la reclusione di un cittadino di un paese terzo cui sia stata applicata la procedura di rimpatrio stabilita da tale direttiva e che soggiorni in modo irregolare in detto territorio senza che sussista un giustificato motivo che preclude il rimpatrio“.
Una decisione molta attesa, soprattutto da parte di quei governi (tedesco, francese, danese ed italiano) che, a seguito della nota sentenza El Dridi, hanno visto nella Corte di Giustizia una istituzione di lotta alla loro politica criminale in materia di immigrazione.
2. Il caso Francese quale caso Europeo.
Il caso trattato dalla Corte è quello che vede protagonista un cittadino armeno A. A. che chiede alla Corte di Giustizia di pronunciarsi, in via pregiudiziale, in merito all’interpretazione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008, 2008/115/CE, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU L 348, pag. 98). La domanda è stata presentata nel contesto di una controversia pendente tra il sig. A. ed il préfet du Val-de-Marne (prefetto del Dipartimento della Val-de-Marne), in ordine al soggiorno irregolare del sig. A. nel territorio francese.
La sentenza che si annota è stata sollevata dalla Corte di Appello di Parigi nell’ambito di un procedimento giudiziario seguìto ad un ordinario controllo di identità di un sans papiers (è un espressione molto diffusa nella Francia degli ultimi anni per designare gli stranieri in situazione irregolare). A seguito di tale controllo, il sig. A., di nazionalità armena, veniva sottoposto alla misura precautelare della garde à vue (equiparabile al nostro fermo di polizia, la garde à vue è una misura precautelare privativa della libertà personale, definita dall’art. 62-2, comma primo, del Code de procédure pénale) in quanto sospettato di aver commesso il reato di ingresso e soggiorno irregolare, punito nell’ordinamento francese con un anno di reclusione ed una pena pecuniaria di 3.750 euro (art. L.621-1 del Code de l’entrée et du séjour des étrangers et du droit d’asile (Ceseda). In virtù di una prassi consolidata oltralpe, durante il fermo veniva notificato allo straniero il provvedimento con il quale il Prefetto ne disponeva l’accompagnamento coattivo alla frontiera ed il trattenimento in un centro di detenzione amministrativa. Successivamente, adito ai fini della proroga del trattenimento amministrativo disposto dal Prefetto, il juges des liberté et de la détention disponeva la proroga del trattenimento amministrativo dello straniero per ulteriori quindici giorni, non accogliendo le eccezioni di nullità della procedura di allontanamento sollevate dal ricorrente.
Tra dette eccezioni, una prendeva segnatamente spunto dal principio stabilito dalla Corte di giustizia nella sentenza El Dridi del 28 aprile 2011, in virtù del quale la direttiva 2008/115/CE, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (cd.“direttiva rimpatri”), deve essere interpretata in senso preclusivo alla condanna ad una pena privativa della libertà personale nei confronti di un cittadino di paese terzo che, trovandosi illegalmente nel territorio dello Stato, non ottemperi all’ordine di lasciare il territorio entro un certo termine.
Secondo il ricorrente nel caso che qui si esamina, tale principio, determinando la caducazione della pena detentiva prevista dall’art. 621-1 Ceseda per il reato di ingresso e soggiorno irregolare, avrebbe conseguentemente determinato la nullità della garde à vue che come si è detto può essere disposta solo nei confronti di individui sospettati di aver commesso un reato punito con la pena detentiva e, con essa, la nullità dell’intera procedura di allontanamento.
Investita del gravame avverso la decisione del juges des libertés et de la détention, la Corte di Appello di Parigi – tenuto altresì conto delle posizioni divergenti che su tale profilo erano nel frattempo emerse nella giurisprudenza– sottoponeva in via pregiudiziale la questione di interpretazione alla Corte di giustizia, chiedendo in particolare «se, tenuto conto del suo ambito di applicazione, la direttiva [2008/115] osti ad una norma nazionale come l’articolo L. 621-1 del [Ceseda] che prevede l’irrogazione della pena della reclusione ad un cittadino di un paese terzo esclusivamente in ragione del suo ingresso o soggiorno irregolare sul territorio nazionale».
Nonostante avesse nel frattempo disposto la cessazione del trattenimento amministrativo del ricorrente, la Corte di Appello di Parigi richiedeva ugualmente che la causa fosse trattata con il “procedimento di urgenza”, previsto dall’articolo 104ter del Regolamento di procedura della Corte di giustizia nel caso in cui il rinvio pregiudiziale investa una o più questioni relative allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia (titolo V TFUE). Con ordinanza del 30 settembre 2011, la Corte di giustizia rigettava tale richiesta, accordando nondimeno, ai sensi dell’articolo 104bis del citato regolamento, la “procedura accelerata” in ragione delle ricadute che la decisione avrebbe avuto sulla libertà personale di altri stranieri in situazione irregolare sottoposti a garde à vue. Su richiesta del governo francese, la causa veniva rinviata dinanzi alla Grande sezione che decideva il 6.12.2011 come ut supra.
Dunque, precisando la portata del principio statuito in El Dridi la Corte di giustizia dichiara per un verso la non conformità al diritto dell’Unione europea del reato di soggiorno irregolare nella misura in cui esso sia suscettibile di condurre ad una condanna ad una pena detentiva nel corso della procedura comune di rimpatrio; dichiarando, per altro verso, la conformità alla “direttiva rimpatri” di tale fattispecie di reato una volta che la procedura di rimpatrio abbia avuto termine ed il cittadino di paese terzo continui a soggiornare in modo irregolare nel territorio di uno Stato membro senza che esista un giustificato motivo che ne impedisca il rimpatrio. Ma la Corte va ancor più lontano ed aggiunge che la “direttiva rimpatri”, oltre a non precludere in linea di principio la qualificazione dell’ingresso e del soggiorno irregolare quale illecito penale, non impedisce che gli Stati ricorrano ad una misura provvisoria privativa della libertà personale al fine di accertare l’irregolarità dell’ingresso o del soggiorno dello straniero.
In buona sostanza, la Corte dichiarare la non conformità del normativa francese con la direttiva rimpatri nella parte in cui prevede il potere di irrogare ed eseguire una pena detentiva nel corso della procedura di rimpatrio prevista dalla direttiva stessa, dato che ciò non contribuisce alla realizzazione dell’allontanamento che detta procedura persegue, ossia al trasporto fisico fuori dello Stato membro in questione. Secondo la Corte tale pena non integra una «misura» o una «misura coercitiva» ai sensi dell’art. 8 della direttiva n. 2008/115/Ce.
Se così è stata la decisione della Corte di Giustizia, allora si può concludere per una espansione della interpretazione offerta dalla stessa Corte per futuri casi Europei con ricadute anche nel nostro sistema penale.
3. L’obbligo di interpretazione conforme ovvero la giurisprudenza quale fonte del diritto.
Brevi cenni sull’obbligo di interpretazione conforme che grava sui giudici degli Stati membri sono doverosi: alla luce di ciò che si dirà in merito alle ricadute della sentenza in commento sul sistema penale italiano che disciplina l’immigrazione.
L’obbligo di interpretazione conforme trova il proprio riferimento normativo negli artt. 5, 249 del Trattato CE e nel dovere di leale cooperazione, la cosiddetta “fedeltà comunitaria” tra gli Stati membri ed istituzioni UE nel perseguimento e nella realizzazione degli obblighi derivanti dai Trattati.
In ciò un ruolo fondamentale spetta ai giudici nazionali affinchè garantiscano la “coerenza” dell’ordinamento giuridico interno ed il rispetto degli obblighi UE, tutelando, dunque, la primazia del diritto dell’Unione Europea. Tale “coerenza” è garantita dall’interpretazione conforme e dal nascente obbligo per i giudici nazionali.
E’ enunciazione costante, da parte della giurisprudenza dell’Unione europea, l’obbligo per il giudice nazionale di far ricorso a tutte le risorse ermeneutiche disponibili al fine di conseguire il risultato voluto dall’ordinamento dell’Unione europea, contribuendo all’adeguamento dell’ordinamento interno all’ordinamento sovranazionale ed alla realizzazione di una tappa fondamentale del processo di integrazione interordinamentale.
L’esigenza di garantire l’adeguamento in via interpretativa della norma interna alla diritto sovranazionale si pone soprattutto nei casi di norme dell’Unione europea non direttamente applicabili e comunque rimaste inattuate.
Al fine di porre rimedio alla mancanza di effetti diretti orizzontali delle direttive inattuate, la Corte di Giustizia ha riconosciuto in capo al giudice nazionale l’obbligo di interpretare il diritto interno in modo conforme al contenuto precettivo della direttiva. Le decisioni che consacrano l’obbligo di interpretazione conforme ripropongono, infatti, nella parte motiva il seguente passaggio: “l’obbligo degli Stati membri, derivante da una direttiva, di conseguire il risultato da questa contemplato, come pure l’obbligo loro imposto dall’ art. 5 del Trattato, di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo, valgono per tutti gli organi degli Stati membri, ivi compresi, nell’ambito di loro competenza, quelli giurisdizionali. Ne consegue che nell’applicare il diritto nazionale, ( …) il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto nazionale alla luce della lettera e dello scopo della direttiva onde conseguire il risultato contemplato dall’art. 189, terzo comma (Cfr. CGUE, 10.4.1984, causa C-14/83, Von Colson et Kamann.; CGUE, 13.11.1990, causa C-106/89, Marleasing; CGUE, 14.7.1994, causa C-91/92, Faccini Dori; CGUE, 23.2.1999, causa C-63/97, BMW; CGUE, 27.6.2000, cause riunite C-240/98-C-244/98, Océano Grupo Editorial e Salvat Editores,; CGUE, 23.10.2003, causa C-408/01, Adidas Salomon e Adidas Benelux; CGUE., 9.12.2003, causa C-129/00, Commissione c. Rep.italiana.).
Dunque, l’ermeneutica penalistica conforme della Corte di Giustizia rappresenta una sorta di rimedio nazionale alla tutela dei diritti attribuiti ai singoli dalle direttive, che consente ai giudici nazionali di realizzare, mediante il ricorso a norme interne, le finalità perseguite dalle direttive stesse, pur in presenza di loro violazioni da parte dello Stato. Nel caso di interpretazione conforme si applica la norma interna, sia pure attribuendole un significato che consenta di realizzare gi scopi della normativa dell’Unione non direttamente applicabile.
In conclusione, come è stato, brillantemente, osservato da Massimo Donini (in Europeismo giudiziario e scienza penale, Milano, 2011, pag. 95 e ss.) “ciò che vincola, dunque, è una giurisprudenza fonte”.
4. Dalla interpretazione conforme alla “disapplicazione” della normativa interna.
Nel premettere che la “direttiva rimpatri” ha un efficacia diretta negli ordinamenti degli Stati membri, le osservazione più pregnanti sono, dunque, rivolte alle possibili conseguenze della sentenza della Corte di Giustizia del 6.12.2011 nel nostro sistema penalistico che disciplina l’immigrazione clandestina. In particolare, sulla (non) conformità delle pene previste dagli articoli 10bis e 16 del Testo Unico sull’immigrazione vigente nell’ordinamento italiano.
E’ noto che, a seguito delle modifiche apportate con il “pacchetto sicurezza” del 2009, gli articoli 10bis e 16 del Testo Unico sull’immigrazione (T.U. imm.) prevedono in caso di ingresso e soggiorno irregolare un sistema di sanzioni penali che si articola nel modo seguente: pena pecuniaria dell’ammenda da 5.000 a 10.000 euro che può essere sostituita con la misura dell’espulsione mediante accompagnamento coattivo alla frontiera per un periodo non inferiore a cinque anni, nel caso in cui non ricorrano le cause ostative previste dall’articolo 14, comma primo, T.U. imm. L’analisi di tale sistema sanzionatorio alla luce di quanto statuito nella sentenza in esame, ci conduce a rilevare quanto segue.
Chiamato ad accertare l’irregolarità dell’ingresso o del soggiorno irregolare prima ancora che intervenga un decreto di espulsione del Prefetto equiparabile ad una decisione di rimpatrio, il giudice penale dovrà infatti procedere all’applicazione della pena pecuniaria, nel caso in cui ricorrono le situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l’effettuazione dell’allontanamento, per riprendere la nuova formulazione dell’art. 14, comma primo, T.U. imm. Nonostante la sua natura pecuniaria -che verrebbe peraltro meno, convertendosi nell’obbligo di permanenza domiciliare del reo insolvibile che non abbia richiesto di svolgere il lavoro sostitutivo ai sensi degli articoli 54 e 55 D. lgs. 274/2000; tale pena si rivelerebbe anch’essa idonea ad ostacolare l’applicazione delle norme e delle procedure comuni stabilite dalla “direttiva rimpatri” alla luce di quanto statuito nella sentenza Achughbabian. Pur non determinando la reclusione dello straniero, l’art. 10bis T.U. imm. avrebbe infatti l’effetto di precludere, al pari dell’art. L.621-1 Ceseda, che nell’ordinamento italiano all’accertamento dell’irregolarità del soggiorno dei cittadini di paesi terzi faccia seguito l’applicazione «in via prioritaria» della procedura di rimpatrio.
A fronte di ciò, il giudice penale, a mio avviso, ha due opzioni:
1) adeguarsi all’ermeneutica della Corte di Giustizia, dunque interpretando ed applicando la disposizione dell’art. 10 bis secondo la direttiva comunitaria;
2) disapplicare direttamente le pene previste dagli articoli 10bis e 16 T.U. imm. in caso di ingresso e soggiorno irregolare, almeno fino a quando non risultino previamente esaurite tutte le misure previste dalla procedura comune di rimpatrio.
Sull’obbligo di interpretazione conforme e l’ermeneutica penalistica delle Corti, si segnalano le seguenti opere:
A. ADINOLFI, La libertà di circolazione delle persone e la politica dell’immigrazione, in Diritto dell’Unione europea. Parte speciale a cura di Strozzi, 3ª ed., Torino 2010, 64 ss., 135 ss.;
M. DONINI, Europeismo giudiziario e scienza penale. Dalla dogmatica classica alla giurisprudenza fonte, Milano, 2011.
V. MANES, “Metodi e limiti nell’interpretazione conforme alle fonti sovranazionali in materia penale, in Archivio penale, 2012, nr. 1;
V. MANES, F. SGUBBI, L’interpretazione conforme al diritto comunitario in materia penale, Bologna, 2007;
F. VIGANO’, Il giudice penale e l’interpretazione conforme, in Studi in onore di Mario Pisani, 2010, pag. 617-679.
Sulle ricadute della sentenza in commento, si segnala:
L. D’AMBROSIO, Se una notte d’inverno un …sans papier. La Corte di Giustizia dichiara il reato di ingresso e soggiorno irregolare conforme e non conforme alla direttiva rimpatri”, in Dirittopenalecontemporaneo, 2011;
G.L. GATTA, Il reato di clandestinità (art. 10 bis T.U. Imm.) e la direttiva rimpatri, in Dirittopenalecontemporaneo, 2012.
La sentenza in commento, in Giustizia Civile, 2012, 01,01, pag. 12:
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)6 dicembre 2011.
«Spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia – Direttiva 2008/115/CE – Norme e procedure comuni in materia di rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare – Normativa nazionale che prevede, in caso di soggiorno irregolare, la pena della reclusione e un’ammenda»
Nel procedimento C-329/11,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dalla Cour d’appel de Paris (Francia), con decisione 29 giugno 2011, pervenuta in cancelleria il 5 luglio 2011, nella causa
A. A.
contro
Préfet du Val-de-Marne,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. A. Tizzano, J.N. Cunha Rodrigues, K. Lenaerts, J.-C. Bonichot, J. Malenovský, U. Lõhmus e M. Safjan, presidenti di sezione, dai sigg. A. Borg Barthet, M. Ilešic (relatore), A. Arabadjiev, dalla sig.ra C. Toader e dal sig. J.-J. Kasel, giudici
avvocato generale: sig. J. Mazák
cancelliere: sig.ra R. Seres, amministratore
vista l’ordinanza del presidente della Corte 30 settembre 2011 con cui si è deciso di trattare la domanda pregiudiziale secondo un procedimento accelerato ai sensi degli artt. 23 bis dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e 104 bis, primo comma, del regolamento di procedura della Corte,
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 25 ottobre 2011,
considerate le osservazioni presentate:
– per il sig. A.A., dagli avv.ti C. Papazian e P. Spinosi, avocats;
– per il governo francese, dalla sig.ra E. Belliard, dal sig. G. de Bergues e dalla sig.ra B. Beaupère-Manokha, in qualità di agenti;
– per il governo danese, dal sig. C. Vang, in qualità di agente;
– per il governo tedesco, dai sigg. T. Henze e N. Graf Vitzthum, in qualità di agenti;
– per il governo estone, dalla sig.ra M. Linntam, in qualità di agente;
– per la Commissione europea, dalla sig.ra M. Condou Durande, in qualità di agente,
sentito l’avvocato generale,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008, 2008/115/CE, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU L 348, pag. 98).
2 Questa domanda è stata presentata nel contesto di una controversia pendente tra il sig. A. ed il préfet du Val-de-Marne (prefetto del Dipartimento della Val-de-Marne), in ordine al soggiorno irregolare del sig. A. nel territorio francese.
Contesto normativo
La direttiva 2008/115
3 I ‘considerando’ quarto, quinto e diciassettesimo della direttiva 2008/115 così recitano:
«(4) Occorrono norme chiare, trasparenti ed eque per definire una politica di rimpatrio efficace quale elemento necessario di una politica d’immigrazione correttamente gestita.
(5) La presente direttiva dovrebbe introdurre un corpus orizzontale di norme, applicabile a tutti i cittadini di paesi terzi che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni d’ingresso, di soggiorno o di residenza in uno Stato membro.
(…)
(17) (…) Fatto salvo l’arresto iniziale da parte delle autorità incaricate dell’applicazione della legge, disciplinato dal diritto nazionale, il trattenimento dovrebbe di norma avvenire presso gli appositi centri di permanenza temporanea».
4 L’art. 1 della direttiva 2008/115, rubricato «Oggetto», stabilisce quanto segue:
«La presente direttiva stabilisce norme e procedure comuni da applicarsi negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, nel rispetto dei diritti fondamentali in quanto principi generali del diritto comunitario e del diritto internazionale, compresi gli obblighi in materia di protezione dei rifugiati e di diritti dell’uomo».
5 L’art. 2 di tale direttiva, intitolato «Ambito di applicazione», così dispone:
«1. La presente direttiva si applica ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare.
2. Gli Stati membri possono decidere di non applicare la presente direttiva ai cittadini di paesi terzi:
a) sottoposti a respingimento alla frontiera (…) ovvero fermati o scoperti dalle competenti autorità in occasione dell’attraversamento irregolare via terra, mare o aria della frontiera esterna di uno Stato membro;
b) sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale, in conformità della legislazione nazionale, o sottoposti a procedure di estradizione.
(…)».
6 L’art. 3 di detta direttiva, rubricato «Definizioni», enuncia quanto segue:
«Ai fini della presente direttiva, si intende per:
(…)
2) “soggiorno irregolare” la presenza nel territorio di uno Stato membro di un cittadino di un paese terzo che non soddisfi o non soddisfi più le condizioni d’ingresso(…), di soggiorno o di residenza in tale Stato membro;
3) “rimpatrio” il processo di ritorno di un cittadino di un paese terzo, sia in adempimento volontario di un obbligo di rimpatrio sia forzatamente:
– nel proprio paese di origine, o
– in un paese di transito in conformità di accordi comunitari o bilaterali di riammissione o di altre intese, o
– in un altro paese terzo, in cui il cittadino del paese terzo in questione decide volontariamente di ritornare e in cui sarà accettato;
4) “decisione di rimpatrio” decisione o atto amministrativo o giudiziario che attesti o dichiari l’irregolarità del soggiorno di un cittadino di paesi terzi e imponga o attesti l’obbligo di rimpatrio;
5) “allontanamento” l’esecuzione dell’obbligo di rimpatrio, vale a dire il trasporto fisico fuori dallo Stato membro;
(…)».
7 Gli artt. 6-9 della direttiva 2008/115 così recitano:
«Articolo 6
Decisione di rimpatrio
1. Gli Stati membri adottano una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi da 2 a 5.
2. Un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare e che è in possesso di un permesso di soggiorno valido o di un’altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare rilasciati da un altro Stato membro deve recarsi immediatamente nel territorio di quest’ultimo (…).
3. Gli Stati membri possono astenersi dall’emettere una decisione di rimpatrio nei confronti di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare qualora il cittadino in questione sia ripreso da un altro Stato membro (…).
4. In qualsiasi momento gli Stati membri possono decidere di rilasciare per motivi caritatevoli, umanitari o di altra natura un permesso di soggiorno autonomo o un’altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare a un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare. In tali casi non è emessa la decisione di rimpatrio (…).
5. Qualora un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare abbia iniziato una procedura per il rinnovo del permesso di soggiorno o di un’altra autorizzazione che conferisce il diritto di soggiornare, lo Stato membro in questione valuta l’opportunità di astenersi dall’emettere una decisione di rimpatrio fino al completamento della procedura (…).
(…).
Articolo 7
Partenza volontaria
1. La decisione di rimpatrio fissa per la partenza volontaria un periodo congruo di durata compresa tra sette e trenta giorni, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi 2 e 4. (…).
(…)
2. Gli Stati membri prorogano, ove necessario, il periodo per la partenza volontaria per un periodo congruo, tenendo conto delle circostanze specifiche del caso individuale, quali la durata del soggiorno, l’esistenza di bambini che frequentano la scuola e l’esistenza di altri legami familiari e sociali.
3. Per la durata del periodo per la partenza volontaria possono essere imposti obblighi diretti a evitare il rischio di fuga, come l’obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità, la costituzione di una garanzia finanziaria adeguata, la consegna di documenti o l’obbligo di dimorare in un determinato luogo.
4. Se sussiste il rischio di fuga o se una domanda di soggiorno regolare è stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta o se l’interessato costituisce un pericolo per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale, gli Stati membri possono astenersi dal concedere un periodo per la partenza volontaria o concederne uno inferiore a sette giorni.
Articolo 8
Allontanamento
1. Gli Stati membri adottano tutte le misure necessarie per eseguire la decisione di rimpatrio qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria a norma dell’articolo 7, paragrafo 4, o per mancato adempimento dell’obbligo di rimpatrio entro il periodo per la partenza volontaria concesso a norma dell’articolo 7.
(…)
4. Ove gli Stati membri ricorrano – in ultima istanza – a misure coercitive per allontanare un cittadino di un paese terzo che oppone resistenza, tali misure sono proporzionate e non ecced[o]no un uso ragionevole della forza. Le misure coercitive sono attuate conformemente a quanto previsto dalla legislazione nazionale in osservanza dei diritti fondamentali e nel debito rispetto della dignità e dell’integrità fisica del cittadino di un paese terzo interessato.
(…).
Articolo 9
Rinvio dell’allontanamento
1. Gli Stati membri rinviano l’allontanamento:
a) qualora violi il principio di non-refoulement, oppure
b) per la durata della sospensione concessa [in seguito ad un ricorso contro una decisione connessa al rimpatrio].
2. Gli Stati membri possono rinviare l’allontanamento per un congruo periodo, tenendo conto delle circostanze specifiche di ciascun caso. Gli Stati membri tengono conto in particolare:
a) delle condizioni fisiche o mentali del cittadino di un paese terzo;
b) delle ragioni tecniche, come l’assenza di mezzi di trasporto o il mancato allontanamento a causa dell’assenza di identificazione.
3. Ove sia disposto il rinvio dell’allontanamento a norma dei paragrafi 1 e 2, al cittadino di un paese terzo interessato possono essere imposti gli obblighi di cui all’articolo 7, paragrafo 3».
8 Gli artt. 15 e 16 della direttiva 2008/115 sono del seguente tenore:
«Articolo 15
Trattenimento
1. Salvo se nel caso concreto possono essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive, gli Stati membri possono trattenere il cittadino di un paese terzo sottoposto a procedure di rimpatrio soltanto per preparare il rimpatrio e/o effettuare l’allontanamento, in particolare quando:
a) sussiste un rischio di fuga o
b) il cittadino del paese terzo evita od ostacola la preparazione del rimpatrio o dell’allontanamento.
Il trattenimento ha durata quanto più breve possibile ed è mantenuto solo per il tempo necessario all’espletamento diligente delle modalità di rimpatrio.
(…)
4. Quando risulta che non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi o che non sussistono più le condizioni di cui al paragrafo 1, il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata è immediatamente rilasciata.
5. Il trattenimento è mantenuto finché perdurano le condizioni di cui al paragrafo 1 e per il periodo necessario ad assicurare che l’allontanamento sia eseguito. Ciascuno Stato membro stabilisce un periodo limitato di trattenimento, che non può superare i sei mesi.
6. Gli Stati membri non possono prolungare il periodo di cui al paragrafo 5, salvo per un periodo limitato non superiore ad altri dodici mesi conformemente alla legislazione nazionale nei casi in cui, nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo, l’operazione di allontanamento rischia di durare più a lungo a causa:
a) della mancata cooperazione da parte del cittadino di un paese terzo interessato, o
b) dei ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi.
Articolo 16
Condizioni di trattenimento
1. Il trattenimento avviene di norma in appositi centri di permanenza temporanea. Qualora uno Stato membro non possa ospitare il cittadino di un paese terzo interessato in un apposito centro di permanenza temporanea e debba sistemarlo in un istituto penitenziario, i cittadini di paesi terzi trattenuti sono tenuti separati dai detenuti ordinari.
(…)».
9 Ai sensi dell’art. 20 della direttiva 2008/115, gli Stati membri dovevano mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla stessa entro il 24 dicembre 2010.
La normativa nazionale
Il Codice dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri e del diritto d’asilo
10 Ai sensi dell’art. L. 211-1 del Codice francese dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri e del diritto d’asilo (in prosieguo: il «Ceseda»), «[p]er entrare in Francia, lo straniero deve essere munito (…) dei documenti e dei visti richiesti dalle convenzioni internazionali e dai vigenti regolamenti (…)».
11 A norma dell’art. L. 311-1 di tale Codice «(…) lo straniero di età superiore ai diciotto anni che intenda soggiornare in Francia deve, una volta passati tre mesi dal suo ingresso in Francia, essere munito di un permesso di soggiorno».
12 L’art. L. 551-1 del Ceseda, nella versione vigente all’epoca dei fatti della causa principale, era redatto nei seguenti termini:
«Il trattenimento di uno straniero in locali non di competenza dell’amministrazione penitenziaria può essere disposto solo qualora tale straniero:
(…)
3° sia destinatario di un decreto di riaccompagnamento coattivo alla frontiera (…) emanato meno di un anno prima, o debba essere riaccompagnato alla frontiera in esecuzione di un’espulsione prevista dal (…) Codice penale, ma non possa lasciare immediatamente il territorio francese, oppure
(…)
6° sia destinatario di un obbligo di lasciare il territorio francese, decretato (…) meno di un anno prima – e il cui termine di un mese previsto per l’abbandono volontario del territorio è scaduto – ma non possa lasciare immediatamente il territorio francese».
13 L’art. L. 552-1, prima frase, del Ceseda, nella versione vigente all’epoca dei fatti della causa principale, disponeva che «[q]uando è trascorso un periodo di quarantotto ore dalla decisione di trattenimento, il giudice delle libertà e della detenzione è adito ai fini del prolungamento del trattenimento».
14 L’art. L. 621-1 del Ceseda così dispone:
«Lo straniero che sia entrato o abbia soggiornato in Francia senza conformarsi agli artt. L. 211-1 e L. 311-1 o si sia trattenuto in Francia oltre il termine autorizzato dal visto è punito con un anno di reclusione e un’ammenda di EUR 3 750.
Il giudice può inoltre vietare allo straniero condannato, per un periodo non superiore a tre anni, l’ingresso o il soggiorno in Francia. L’espulsione comporta l’immediato riaccompagnamento del condannato alla frontiera, se del caso alla scadenza della pena della reclusione».
15 Alcune di queste disposizioni del Ceseda sono state modificate dalla legge 16 giugno 2011, n. 2011-672, sull’immigrazione, l’integrazione e la nazionalità (JORF del 17 luglio 2011, pag. 10290), entrata in vigore il 18 luglio 2011. L’art. L. 621-1 del Ceseda non fa parte di tali disposizioni modificate.
Il Codice di procedura penale
16 Secondo l’art. 62-2 del Codice di procedura penale, nella versione vigente all’epoca dei fatti della causa principale:
«Il fermo di polizia [garde à vue] è un provvedimento coercitivo deciso da un ufficiale di polizia giudiziaria, sotto il controllo dell’autorità giudiziaria, in forza del quale è mantenuta a disposizione degli inquirenti una persona a carico della quale sussistono una o più ragioni plausibili di sospettare che abbia commesso o tentato di commettere un reato punito con la reclusione».
Causa principale e questione pregiudiziale
17 Il 24 giugno 2011, a Maisons-Alfort (Francia), la polizia effettuava dei controlli d’identità sulla pubblica via. Una delle persone interrogate in occasione di tale controllo dichiarava di chiamarsi Alexandre Achughbabian e di essere nato in Armenia il 9 luglio 1990.
18 Secondo il verbale redatto dalla polizia, il sig. Achughbabian dichiarava inoltre di essere di nazionalità armena. Quest’ultimo, tuttavia, ha smentito tale dichiarazione.
19 Il sig. Achughbabian veniva sottoposto a fermo di polizia in quanto sospettato di aver commesso e di continuare a commettere il reato previsto all’art. L. 621-1 del Ceseda.
20 Da un esame più approfondito della situazione del sig. Achughbabian, emergeva allora che l’interessato aveva fatto ingresso in Francia il 9 aprile 2008 e aveva chiesto la concessione di un titolo di soggiorno in tale paese, che tale domanda era stata respinta il 28 novembre 2008, e che quest’ultimo diniego era stato confermato il 27 gennaio 2009 dal prefetto della Val-d’Oise e corredato, ad opera di quest’ultimo, di un decreto, notificato al sig. Achughbabian il 14 febbraio 2009, recante l’obbligo di lasciare il territorio francese entro un mese.
21 Il 25 giugno 2011 il prefetto della Val-de-Marne adottava un decreto di riaccompagnamento coattivo alla frontiera ed un decreto di trattenimento, che venivano notificati al sig. Achughbabian.
22 Il 27 giugno 2011 il giudice delle libertà e della detenzione del Tribunal de grande instance de Créteil, adito ai sensi dell’art. L. 552-1 del Ceseda ai fini della proroga del trattenimento oltre le 48 ore, disponeva tale proroga e respingeva le eccezioni di nullità sollevate dal sig. Achughbabian contro, in particolare, il fermo di polizia cui era stato sottoposto.
23 Una di dette eccezioni era tratta dalla sentenza 28 aprile 2011, causa C-61/11 PPU, El Dridi (non ancora pubblicata nella Raccolta), in cui la Corte ha dichiarato che la direttiva 2008/115 osta ad una normativa di uno Stato membro che preveda la pena della reclusione per il solo motivo che un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare, in violazione di un ordine di lasciare il territorio di tale Stato membro entro un determinato termine, permanga in detto territorio senza un giustificato motivo. Secondo il sig. Achughbabian, da tale sentenza si evince che la pena detentiva prevista dall’art. L. 621-1 del Ceseda è incompatibile con il diritto dell’Unione. Alla luce di tale incompatibilità e della regola per cui il fermo di polizia può essere disposto unicamente in caso di sospetto di un reato passibile della pena della reclusione, il procedimento seguito in questa fattispecie sarebbe irregolare.
24 Il 28 giugno 2011 il sig. Achughbabian ha interposto appello avverso l’ordinanza del giudice delle libertà e della detenzione del Tribunal de grande instance de Créteil dinanzi alla Cour d’appel de Paris. Quest’ultima ha dichiarato che il sig. Achughbabian è di nazionalità armena, che è stato sottoposto a fermo di polizia e successivamente a un trattenimento per soggiorno irregolare e che ha eccepito che l’art. L. 621-1 del Ceseda è incompatibile con la direttiva 2008/115, come interpretata nella citata sentenza El Dridi.
25 Alla luce di quanto sopra, la Cour d’appel de Paris ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se, tenuto conto del suo ambito di applicazione, la direttiva [2008/115] osti ad una norma nazionale come l’art. L. 621-1 del [Ceseda] che prevede l’irrogazione della pena della reclusione ad un cittadino di un paese terzo esclusivamente in ragione del suo ingresso o soggiorno irregolare sul territorio nazionale».
26 Il giudice del rinvio ha inoltre posto fine al trattenimento del sig. Achughbabian.
27 Su domanda del giudice del rinvio, la sezione designata ha valutato la necessità di sottoporre la presente causa al procedimento d’urgenza previsto all’art. 104 ter del regolamento di procedura. Dopo aver sentito l’avvocato generale, detta sezione ha deciso di non accogliere tale domanda.
Sulla questione pregiudiziale
28 Anzitutto, occorre rilevare che la direttiva 2008/115 verte unicamente sul rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno in uno Stato membro sia irregolare e, pertanto, non si prefigge l’obiettivo di armonizzare integralmente le norme nazionali sul soggiorno degli stranieri. Tale direttiva, quindi, non vieta che il diritto di uno Stato membro qualifichi il soggiorno irregolare alla stregua di reato e preveda sanzioni penali per scoraggiare e reprimere la commissione di siffatta infrazione delle norme nazionali in materia di soggiorno.
29 Poiché le norme e le procedure comuni introdotte dalla direttiva 2008/115 riguardano solo l’adozione di decisioni di rimpatrio e la loro esecuzione, occorre inoltre far notare che tale direttiva non osta ad una detenzione finalizzata a determinare se il soggiorno di un cittadino di un paese terzo sia regolare o meno.
30 Tale conclusione è corroborata dal diciassettesimo ‘considerando’ di detta direttiva, dal quale si deduce che le condizioni dell’arresto iniziale di cittadini di paesi terzi sospettati di soggiornare in modo irregolare in uno Stato membro rimangono disciplinate dal diritto nazionale. Peraltro, come ha osservato il governo francese, la finalità della direttiva 2008/115 – ossia l’efficace rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare – risulterebbe compromessa se gli Stati membri non potessero evitare, mediante una privazione di libertà come il fermo di polizia, che una persona sospettata di soggiornare irregolarmente fugga ancora prima che la sua situazione abbia potuto essere chiarita.
31 A tale riguardo, le autorità competenti devono disporre di un termine che, seppur breve, sia anche ragionevole, per poter identificare la persona soggetta al controllo e per ricercare le informazioni che consentono di accertare se tale persona sia un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare. In caso di mancata cooperazione dell’interessato, determinarne il nome e la nazionalità può rivelarsi difficile. Lo stesso può dirsi della verifica della sussistenza di un soggiorno irregolare, soprattutto qualora l’interessato invochi lo status di richiedente asilo o di rifugiato. Ciò premesso, le competenti autorità, onde evitare di compromettere, come ricordato al punto precedente, l’obiettivo della direttiva 2008/115, sono tenute ad agire con diligenza e a pronunciarsi senza indugio in merito alla regolarità o meno del soggiorno della persona interessata. Una volta constatata l’irregolarità del soggiorno, dette autorità devono, ai sensi dell’art. 6, n. 1, di detta direttiva, e fatte salve le eccezioni previste da quest’ultima, emanare una decisione di rimpatrio.
32 Da quanto precede risulta che la direttiva 2008/115 non vieta né una disciplina nazionale come l’art. L. 621-1 del Ceseda, nella parte in cui quest’ultima qualifica il soggiorno irregolare di un cittadino di un paese terzo come reato ed irroga sanzioni penali, compresa la pena della reclusione, per reprimere tale tipo di soggiorno, né la detenzione di un cittadino di un paese terzo allo scopo di determinare se il suo soggiorno sia regolare oppure no. Tuttavia, occorre anche verificare se tale direttiva osti ad una disciplina come quella istituita dall’art. L. 621-1 del Ceseda laddove quest’ultima può condurre alla reclusione nel corso del procedimento di rimpatrio disciplinato da detta direttiva.
33 A questo proposito, la Corte ha già rilevato che, nonostante la legislazione penale e le norme di procedura penale rientrino, in linea di principio, nella competenza degli Stati membri, su tale ambito del diritto può nondimeno incidere il diritto dell’Unione. Pertanto, sebbene né l’art. 63, primo comma, punto 3, lett. b), CE – disposizione che è stata ripresa dall’art. 79, n. 2, lett. c), TFUE – né la direttiva 2008/115, adottata in particolare sul fondamento di detta disposizione del Trattato CE, escludano la competenza penale degli Stati membri in tema di immigrazione clandestina e di soggiorno irregolare, questi ultimi devono fare in modo che la propria legislazione in materia rispetti il diritto dell’Unione. Detti Stati non possono applicare una normativa penale tale da compromettere la realizzazione degli obiettivi perseguiti da tale direttiva e da privare così quest’ultima del suo effetto utile (sentenza El Dridi, cit., punti 53-55 e la giurisprudenza ivi citata).
34 Per quanto concerne la questione diretta a chiarire se la direttiva 2008/115 osti, per ragioni analoghe a quelle esposte dalla Corte nella citata sentenza El Dridi, ad una disciplina come quella istituita dall’art. L. 621-1 del Ceseda, occorre anzitutto constatare che la situazione del ricorrente nella causa principale è riconducibile a quella descritta all’art. 8, n. 1, di tale direttiva.
35 Dal fascicolo di causa e dalla risposta che il giudice del rinvio ha fornito ad una richiesta di chiarimenti rivoltagli dalla Corte risulta infatti che il 14 febbraio 2009 al sig. Achughbabian è stato notificato un ordine di lasciare il territorio francese, che fissava un periodo di un mese per la partenza volontaria, e che questi non ha rispettato detto ordine. Poiché tale decisione di rimpatrio non era più in vigore il 24 giugno 2011, data del controllo e del fermo di polizia cui è stato sottoposto il sig. Achughbabian, il 25 giugno 2011 è stata emanata una nuova decisione di rimpatrio, questa volta sotto forma di un decreto di accompagnamento coattivo alla frontiera non corredato di un periodo per la partenza volontaria. Di conseguenza, a prescindere dal fatto che la situazione del ricorrente nella causa principale vada considerata come quella di una persona che non ha osservato un obbligo di rimpatrio entro il termine concesso per una partenza volontaria, oppure come quella di una persona colpita da una decisione di rimpatrio non corredata di un periodo per la partenza volontaria, detta situazione è comunque sussumibile nell’art. 8, n. 1, della direttiva 2008/115 e, quindi, comporta il sorgere dell’obbligo imposto da questo articolo in capo allo Stato membro di cui trattasi di adottare tutte le misure necessarie per procedere all’allontanamento, vale a dire, a norma dell’art. 3, punto 5, della direttiva in parola, il trasporto fisico dell’interessato fuori dallo Stato membro.
36 Inoltre, occorre rilevare che dalla lettura dell’art. 8, nn. 1 e 4, della direttiva 2008/115 risulta con chiarezza che i termini «misure» e «misure coercitive», ivi figuranti, si riferiscono a qualsiasi intervento che sfoci, in maniera efficace e proporzionata, nel rimpatrio dell’interessato. L’art. 15 della direttiva in parola stabilisce che il trattenimento dell’interessato è permesso unicamente per preparare e per permettere l’allontanamento e che tale privazione della libertà può essere mantenuta per un massimo di sei mesi, mentre un periodo di trattenimento supplementare di dodici mesi può aggiungersi solamente qualora la mancata esecuzione della decisione di rimpatrio durante i suddetti sei mesi sia conseguenza del fatto che l’interessato non ha cooperato o sia dovuta a ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi
37 Orbene, è evidente che irrogare ed eseguire una pena detentiva nel corso della procedura di rimpatrio prevista dalla direttiva 2008/115 non contribuisce alla realizzazione dell’allontanamento che detta procedura persegue, ossia al trasporto fisico fuori dallo Stato membro in questione. Siffatta pena, pertanto, non integra una «misura» o una «misura coercitiva» ai sensi dell’art. 8 della direttiva 2008/115.
38 Infine, è pacifico che la normativa nazionale oggetto della causa principale, prevedendo la pena della reclusione per il cittadino di un paese terzo che abbia più di 18 anni e soggiorni in modo irregolare in Francia dopo che è scaduto il termine di tre mesi dal suo ingresso nel territorio francese, può comportare la reclusione, mentre, secondo le norme e procedure comuni sancite dagli artt. 6, 8, 15 e 16 della direttiva 2008/115, a tale cittadino di un paese terzo deve essere applicata, in via prioritaria, una procedura di rimpatrio e, per quanto riguarda l’eventuale privazione della libertà, egli può subire tutt’al più un trattenimento.
39 Pertanto, una normativa nazionale come quella oggetto della causa principale è idonea ad ostacolare l’applicazione delle norme e delle procedure comuni stabilite dalla direttiva 2008/115 e a ritardare il rimpatrio, pregiudicando quindi, alla stessa stregua della normativa oggetto della causa sfociata nella citata sentenza El Dridi, l’effetto utile di detta direttiva.
40 Questa conclusione non è inficiata né dalla circostanza, sottolineata dal governo francese, che, in forza di circolari rivolte alle autorità giurisdizionali, le pene previste dalla disciplina nazionale discussa nella causa principale raramente vengono inflitte in casi diversi da quelli in cui la persona che soggiorna in modo irregolare ha commesso, oltre al reato di soggiorno irregolare, anche un altro reato, né dal fatto, anch’esso dedotto da tale governo, che il sig. Achughbabian non è stato condannato a dette pene.
41 A questo proposito è d’uopo rilevare che i cittadini di paesi terzi i quali, oltre ad aver commesso il reato di soggiorno irregolare, si siano resi colpevoli di uno o più altri reati, possono, all’occorrenza, ai sensi dell’art. 2, n. 2, lett. b), della direttiva 2008/115, essere esclusi dalla sua sfera di applicazione. Tuttavia, nessuno degli elementi versati al fascicolo di causa sottoposto alla Corte induce a ritenere che il sig. Achughbabian abbia commesso un altro reato oltre a quello di soggiornare in modo irregolare nel territorio francese. Pertanto, la situazione del ricorrente nella causa principale non può essere esclusa dalla sfera di applicazione della direttiva 2008/115, dato che l’art. 2, n. 2, lett. b), di quest’ultima non può manifestamente essere interpretato, salvo privare la direttiva della sua ratio e del suo effetto vincolante, nel senso che gli Stati membri possano omettere di applicare le norme e le procedure comuni previste dalla direttiva in parola ai cittadini di paesi terzi che abbiano commesso solo l’infrazione consistente nel soggiorno irregolare.
42 Per quanto riguarda la circostanza che, fino ad ora, il sig. Achughbabian non è stato condannato alla pena della reclusione e all’ammenda previste all’art. L. 621-1 del Ceseda, occorre rilevare che è pacifico che l’emanazione di un decreto di accompagnamento coattivo alla frontiera nei suoi confronti è stata fondata sulla constatazione del reato di soggiorno irregolare previsto da tale articolo e che quest’ultimo, a prescindere dal contenuto delle circolari citate dal governo francese, è idoneo a condurre alla condanna alle suddette pene. Pertanto, l’art. L. 621-1 del Ceseda, così come la questione della sua compatibilità con il diritto dell’Unione, risultano pertinenti nella causa principale, considerato che, tra l’altro, il giudice del rinvio e il governo francese non hanno menzionato né un’archiviazione né, più in generale, una decisione che escluda definitivamente qualsiasi possibilità di perseguire il sig. Achughbabian per detto reato.
43 Del resto, e come ricordato al punto 33 della presente sentenza, occorre sottolineare il dovere incombente agli Stati membri – derivante dall’art. 4, n. 3, TUE e ricordato al punto 56 della citata sentenza El Dridi – di adottare tutte le misure idonee a garantire l’esecuzione degli obblighi risultanti dalla direttiva 2008/115 e di astenersi da qualsiasi provvedimento suscettibile di pregiudicare la realizzazione dei suoi obiettivi. È necessario che le disposizioni nazionali applicabili non siano tali da poter compromettere la corretta applicazione delle norme e delle procedure comuni sancite da detta direttiva.
44 Infine, non può essere accolto l’argomento dei governi tedesco ed estone, secondo cui gli artt. 8, 15 e 16 della direttiva 2008/115, pur ostando ad una pena della reclusione nel corso del procedimento di allontanamento previsto da tali articoli, non vietano che uno Stato membro infligga ad un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare una pena reclusiva prima di procedere all’allontanamento di tale persona secondo le modalità previste dalla direttiva.
45 A questo proposito, è sufficiente osservare che tanto dal dovere di lealtà degli Stati membri, quanto dall’esigenza di efficacia ricordata in particolare al quarto ‘considerando’ della direttiva 2008/115, discende che l’obbligo che l’art. 8 di tale direttiva impone agli Stati membri di procedere all’allontanamento, nelle ipotesi illustrate al n. 1 di questo articolo, deve essere adempiuto con la massima celerità. È del tutto evidente che così non sarebbe se lo Stato membro interessato, dopo aver accertato il soggiorno irregolare del cittadino di un paese terzo, anteponesse all’esecuzione della decisione di rimpatrio, o addirittura alla sua stessa adozione, un procedimento penale, eventualmente seguito dalla pena della reclusione. Tale modo di agire ritarderebbe l’allontanamento (sentenza El Dridi, cit. supra, punto 59) e, tra l’altro, non è annoverato tra le giustificazioni del rinvio dell’allontanamento menzionate all’art. 9 della direttiva 2008/115.
46 Dal complesso delle considerazioni esposte sopra risulta dunque che gli Stati membri, vincolati dalla direttiva 2008/115, non possono prevedere la pena della reclusione per i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare nei casi in cui tali cittadini, in forza delle norme e delle procedure comuni stabilite da tale direttiva, devono essere allontanati e possono al massimo, nell’ottica della preparazione e della realizzazione di tale allontanamento, essere sottoposti a trattenimento. Tuttavia, ciò non esclude la facoltà degli Stati membri di adottare o di mantenere in vigore disposizioni, eventualmente anche di natura penale, che disciplinino, nel rispetto dei principi di detta direttiva e del suo obiettivo, le situazioni in cui le misure coercitive non hanno consentito di realizzare l’allontanamento di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare (sentenza El Dridi, cit. supra, punti 52 e 60).
47 In considerazione di tale facoltà, occorre dichiarare infondata la tesi addotta dai governi che hanno presentato osservazioni dinanzi alla Corte secondo cui un’interpretazione come quella fornita supra priverebbe gli Stati membri della possibilità di scoraggiare i soggiorni irregolari.
48 La direttiva 2008/115 non osta, in particolare, all’irrogazione di sanzioni penali, ai sensi delle norme nazionali di procedura penale, a cittadini di paesi terzi cui sia stata applicata la procedura di rimpatrio prevista da tale direttiva e che soggiornino in modo irregolare nel territorio di uno Stato membro senza che esista un giustificato motivo che preclude il rimpatrio.
49 A tale riguardo, occorre sottolineare che, nell’applicazione di dette norme di procedura penale, l’irrogazione delle sanzioni menzionate al punto precedente è subordinata al pieno rispetto dei diritti fondamentali, in particolare di quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950.
50 Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, la questione sollevata dev’essere risolta dichiarando che la direttiva 2008/115 dev’essere interpretata nel senso che essa:
– osta alla normativa di uno Stato membro che reprime il soggiorno irregolare mediante sanzioni penali, laddove detta normativa consente la reclusione di un cittadino di un paese terzo che, pur soggiornando in modo irregolare nel territorio di detto Stato membro e non essendo disposto a lasciare tale territorio volontariamente, non sia stato sottoposto alle misure coercitive di cui all’art. 8 di tale direttiva, e per il quale, nel caso in cui egli sia stato trattenuto al fine di preparare e realizzare il suo allontanamento, la durata massima del trattenimento non sia stata ancora superata; e
– non osta a siffatta normativa laddove essa consente la reclusione di un cittadino di un paese terzo cui sia stata applicata la procedura di rimpatrio stabilita da tale direttiva e che soggiorni in modo irregolare in detto territorio senza che sussista un giustificato motivo che preclude il rimpatrio.
Sulle spese
51 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008, 2008/115/CE, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, dev’essere interpretata nel senso che essa:
– osta alla normativa di uno Stato membro che reprime il soggiorno irregolare mediante sanzioni penali, laddove detta normativa consente la reclusione di un cittadino di un paese terzo che, pur soggiornando in modo irregolare nel territorio di detto Stato membro e non essendo disposto a lasciare tale territorio volontariamente, non sia stato sottoposto alle misure coercitive di cui all’art. 8 di tale direttiva, e per il quale, nel caso in cui egli sia stato trattenuto al fine di preparare e realizzare il suo allontanamento, la durata massima del trattenimento non sia stata ancora superata; e
– non osta a siffatta normativa laddove essa consente la reclusione di un cittadino di un paese terzo cui sia stata applicata la procedura di rimpatrio stabilita da tale direttiva e che soggiorni in modo irregolare in detto territorio senza che sussista un giustificato motivo che preclude il rimpatrio.