SENTENZA 26/11/2011 – 29/02/2012 Corte di Cassazione Sezione Penale II n. 42988
Con sentenza del 26/10/2011 la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito, confermando i precedenti indirizzi di legittimità, che non costituisce reato l’indebito utilizzo del pass riservato ai disabili da parte di persona diversa dal titolare, nella specie trattavasi del figlio.
A parere della Corte l’indebito utilizzo potrebbe al più integrare il mero illecito amministrativo previsto dall’art. 188 del Codice della Strada e non una specifica ipotesi di reato prevista e punita dal Codice Penale.
La vicenda in oggetto prende spunto dal comportamento posto in essere da soggetti che avevano indebitamente utilizzato il pass invalidi per accedere in zona a traffico limitato; la Procura della Repubblica nella circostanza procedeva a contestare agli imputati vari titoli di reato quali la sostituzione di persona, la truffa nonché l’abuso di ufficio.
Il G.U.P. del Tribunale di Firenze in data 19/01/2011 emetteva sentenza di non luogo a procedere in relazione a tutti i capi di imputazione contestati.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per Cassazione la Procura della Repubblica.
A parere degli Ermellini le ipotesi accusatorie non possono trovare accoglimento.
Ed invero la condotta posta in essere non integra la fattispecie di cui all’art. 494 C.P. dal momento che la mera esposizione dell’autorizzazione amministrativa non è di per sé sufficiente, essendo necessario per consolidata Giurisprudenza un comportamento attivo del soggetto agente che, inducendo in errore taluno, sostituisca illegittimamente la propria persona all’altrui, attribuisca a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici.
Tra l’altro è ampiamente condivisibile, da parte dello scrivente, la motivazione di merito affrontata dal G.U.P. di Firenze laddove esplicita che “la semplice esposizione sul parabrezza del contrassegno è, invece, un comportamento che vale ad attestare che sul veicolo viaggia una persona invalida ma non attribuisce, neppure implicitamente od indirettamente, qualifiche soggettive al proprietario o al conducente; è il veicolo, infatti, che, in quanto al servizio della persona invalida, gode di specifiche autorizzazioni amministrative (transito in ZTL, parcheggio senza vincoli di tempo, in zone vietate agli altri utenti ecc), autorizzazioni tra l’altro fruibili nei modi più disparati, perché l’invalido può guidare da solo in quanto abile alla guida, può necessitare di un autista, può necessitare di persone che lo accompagnano per scendere dall’autovettura, può essere il proprietario o meno dell’autovettura, circostanze tutte assolutamente non desumibili dalla semplice esposizione del permesso sul parabrezza”.
Dunque, nel caso di specie l’esposizione del contrassegno invalidi è un atto di valenza neutra; non attesta che il conducente è persona invalida bensì che l’autovettura è al servizio della stessa.
La Corte afferma, altresì, che la condotta posta in essere non integra il delitto di cui all’art. 640 C.P. in quanto mancherebbe l’atto di disposizione patrimoniale proprio della fattispecie in esame.
Per meglio comprendere la pronuncia in esame è necessario analizzare la nozione di profitto e la nozione di danno di cui al reato di truffa.
Ebbene, per consolidata Giurisprudenza, il profitto deve ravvisarsi tanto nel caso di effettivo accrescimento della ricchezza economica in capo all’agente quanto nel caso di mancata diminuzione del patrimonio dello stesso.
Apparentemente la condotta posta in essere da colui che indebitamente utilizza il contrassegno invalidi non essendo titolare potrebbe assumere connotati di rilevanza penale se si pensa al mancato pagamento del parcheggio da parte dell’indebito utilizzatore, essendovi una mancata deminutio patrimonii, circostanza questa tra l’altro non contestata dalla Procura e non verificata nel merito; ma pur volendo la condotta descritta non supererebbe la nozione di altrui danno.
L’elemento dell’altrui danno, costitutivo della fattispecie di cui all’art. 640 C.P., deve avere necessariamente contenuto patrimoniale ed economico e consiste nella effettiva lesione atta a produrre una perdita patrimoniale in capo al soggetto passivo.
E difatti, la Corte precisa che “nel procedimento volto all’accertamento della infrazione amministrativa l’autorità che irroga la sanzione, quando consegua la emanazione della ordinanza- ingiunzione, in nessun modo compie un atto che possa essere interpretato come un atto di libera disposizione negoziale incidente sul patrimonio della pubblica amministrazione, ma pone in essere un atto autoritativo di tipo ablatorio, che, anche se avente carattere giurisdizionale, costituisce manifestazione tipica dei pubblici poteri sanzionatori”.
Per le suesposte ragioni non può sussistere il reato di truffa, ex art. 640 C.P., per mancanza degli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice.
Questione diversa è la sussunzione della condotta posta in essere dagli imputati sotto la previsione della statuizione di cui all’art. 188 C.d.S.
È da tale dato normativo che occorre partire.
L’articolo 188 C.d.S. stabilisce quanto segue :
1. Per la circolazione e la sosta dei veicoli al servizio delle persone invalide gli enti proprietari della strada sono tenuti ad allestire e mantenere apposite strutture, nonché la segnaletica necessaria, per consentire ed agevolare la mobilità di esse, secondo quanto stabilito nel regolamento.
2. I soggetti legittimati ad usufruire delle strutture di cui al comma 1 sono autorizzati dal sindaco del comune di residenza nei casi e con limiti determinati dal regolamento e con le formalità nel medesimo indicate.
3. I veicoli al servizio di persone invalide autorizzate a norma del comma 2 non sono tenuti all’obbligo del rispetto dei limiti di tempo se lasciati in sosta nelle aree di parcheggio a tempo determinato.
4. Chiunque usufruisce delle strutture di cui al comma 1, senza avere l’autorizzazione prescritta dal comma 2 o ne faccia uso improprio, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 80 a euro 318.
5. Chiunque usa delle strutture di cui al comma 1, pur avendone diritto, ma non osservando le condizioni ed i limiti indicati nell’autorizzazione prescritta dal comma 2 è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 39 a euro 159.
Nel caso in esame la condotta è oggetto della specifica previsione di cui al comma 4 e comma 5; l’indebita utilizzazione del contrassegno invalidi, difatti, rientrerebbe nell’ipotesi di “abuso” o di “uso improprio” per le quali è prevista apposita norma; dunque, non vi è alcuna previsione di carattere penale atta a punire la condotta descritta.
E difatti, ad avviso dello scrivente, non potrà invocarsi l’applicazione del principio di specialità di cui all’art. 9 della L. 24/10/1981 n. 689, così come è dato leggersi nel testo della motivazione della sentenza della Corte di Cassazione.
Il richiamato principio afferma che quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale.
Tale norma prevede una depenalizzazione delle condotte laddove il fatto sia previsto e punito da più norme, nella specie, da una norma penale ed una norma extrapenale di natura amministrativa.
Nel caso ora analizzato non troverebbe ragion d’argomentazione la operatività del principio di specialità dal momento che la fattispecie dell’indebito utilizzo di autorizzazioni amministrative non è disciplinata dal C.P.
Si comprende il riferimento effettuato dai Giudici di Legittimità solo come argomentazione residuale rispetto all’ipotesi accusatoria; ed invero pur volendo affermare che la condotta dell’agente integri gli estremi di reato previsto dalle norme penali vi sarebbe comunque la normativa del C.d.S. che troverebbe applicazione.
Avv. Goffredo Grasso
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIRENA Pietro Antoni - Presidente -
Dott. CASUCCI Giuliano - Consigliere -
Dott. CERVADORO Mirella - Consigliere -
Dott. D'ARRIGO Cosimo - Consigliere -
Dott. DI MARZIO Fabrizio - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI FIRENZE;
Nei confronti di:
B.G., N. IL (OMISSIS);
O.F., N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza N. 91/2011 DEL GUP DEL TRIBUNALE DI FIRENZE del
18.1.2011;
Visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
Udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Fabrizio Di Marzio;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Enrico Delehaye,
il quale ha concluso chiedendo, in via principale, rimettersi il
ricorso alle Sezioni unite, e in subordine per l'annullamento della
pronuncia con rinvio limitatamente al delitto di cui all'art. 494
c.p., e rigetto per il resto.
Fatto
OSSERVA
1.- Con la sentenza in epigrafe il GUP presso il Tribunale di Firenze ha dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di B. G. e O.F. per i reati di sostituzione di persona, abuso di ufficio e truffa per avere indebitamente utilizzato un permesso per invalidi con abbinato telepass rilasciato in favore di D.S.C. esponendoli sui veicoli nella loro disponibilità, e per avere presentato ricorso contro una contestazione al codice della strada a carico di tale veicolo sostenendo falsamente di essere legittimati alla circolazione secondo il permesso in oggetto, traendo in inganno i funzionari prefettizi e comunali che procedevano all’annullamento delle multe.
Avverso detta pronunzia ricorre la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, lamentando la mancanza, la contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata nonchè violazione di legge in ordine alla non riscontrata sussistenza dei delitti di sostituzione di persona e truffa.
2. – Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Questa Corte ha già espresso la sua giurisprudenza sulla fattispecie in esame, escludendo che la condotta di uso indebito ed abusivo da parte di terzi della autorizzazione alla circolazione rilasciata a persona invalida possa determinare a carico del soggetto che indebitamente e anche illegalmente si avvale della autorizzazione medesima per fruire dei vantaggi connessi non integra, per evidente carenza degli elementi di fattispecie, nè il reato di sostituzione di persona nè il reato di truffa (cfr., recentemente, Cass. sez. 2, 8 giugno 2010, n. 35004; Cass. sez. 2, 24.3.2011, n. 24454). In particolare, deve osservarsi quanto segue.
Tanto l’art. 188 C.d.S., che l’art. 381 del relativo regolamento, fanno infatti espresso ed esclusivo riferimento, nel presupposto della prova di una sensibile riduzione della capacità di deambulazione dell’interessato, all’esigenza di consentire e agevolare la “mobilità” delle persone invalide.
E, come ricorda il requirente, la Corte Costituzionale, occupandosi dell’art. 188 C.d.S., ha avuto modo di affermare che la norma deve essere interpretata nel senso che le agevolazioni nella circolazione stradale siano limitate a quei veicoli che effettivamente trasportano la persona disabile e sono, quindi, in tal modo al servizio della stessa, anche quando si tratti di veicoli addetti al trasporto di cortesia dell’invalido (Cort. Cost. 328/2000). La pronuncia del giudice delle leggi e la retta interpretazione della normativa nel senso indicato dal requirente, non consentono però ugualmente di ravvisare gli estremi dei reati in contestazione.
Ed invero, per quel che riguarda l’ipotesi della sostituzione di persona, basti considerare che la condotta di reato non potrebbe essere integrata dalla semplice esibizione, sul parabrezza di un’autovettura, del contrassegno invalidi, perchè essa non implica una “dichiarazione” di attestazione della presenza del titolare del permesso a bordo dell’autovettura medesima, come presupposto dell’auto attribuzione della qualità di “accompagnatore” da parte del conducente.
Quanto al reato di truffa, varrebbe già la considerazione della specifica natura degli interessi patrimoniali coinvolti nella vicenda, e delle particolari modalità della condotta presuntivamente truffaldina, potendosi richiamare, al riguardo, l’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte a proposito dell’analoga fattispecie dell’esposizione sul parabrezza di un’autovettura, di un contrassegno assicurativo materialmente falsificato (cfr. Corte di Cassazione Nr 23941 del 30/04/2009 Albani).
Anche nel caso in esame, infatti, manca, come requisito implicito della fattispecie tipica del reato di truffa, l’atto di disposizione patrimoniale che costituisce l’elemento intermedio derivante dall’errore ed è causa dell’ingiusto profitto con altrui danno. Ciò perchè, pur ammettendosi la configurabilità di un atto dispositivo di carattere omissivo, l’atto di disposizione patrimoniale non potrebbe essere ravvisabile nel fatto che gli organi comunali di controllo, indotti in errore, non abbiano contestato le infrazioni amministrative, nè nel fatto che l’ente comunale abbia subito l’inadempienza dell’agente. Il reato non sarebbe infatti comunque ipotizzatale, perchè manca in casi del genere la necessaria cooperazione della vittima. Inoltre, non ricorrerebbe la necessaria sequenza “artificio-induzione in errore – profitto”, perchè, al contrario, il profitto della condotta contestata agli imputati sarebbe realizzato immediatamente, grazie all’elusione dei controlli, e al conseguente, mancato versamento delle somme che sarebbero state dovute in conseguenza delle violazioni amministrative, o per la sosta del veicolo all’interno di zone a traffico limitato.
Peraltro, tra i contravventori e la pubblica amministrazione non sussisteva, prima delle violazioni amministrative che costituirebbero il sostrato economico della truffa, alcun rapporto di “debito”, tributario o di altra natura; sicchè il comportamento fraudolento in nessun modo poteva correlarsi ad un “danno” dell’ente territoriale interessato, neppure dilatando al massimo la nozione di atto di disposizione di carattere omissivo. Se il profitto conseguito dagli imputati, infatti, era quello derivante dalla circolazione “abusiva” dell’autovettura al servizio dell’invalido, esso era un fatto del tutto neutro agli effetti di un ipotetico danno del comune di Firenze, proprio perchè quella condotta non era destinata a spostare “risorse” economiche dal soggetto in ipotesi “truffato” all’autore di tale condotta. Simili principi, d’altra parte, ha applicato la giurisprudenza di questa Corte, anche quando ha affermato che non integra il delitto di tentata truffa la condotta costituita dalla produzione di falsa documentazione a sostegno di un ricorso al prefetto avverso l’ordinanza-ingiunzione di pagamento di una sanzione amministrativa per violazione delle norme sulla circolazione stradale.
Nel caso di specie, poi, occorre considerare che la condotta contestata agli imputati è oggetto di una specifica previsione normativa, che riconduce “senza residui” il fatto nell’ambito di un mero illecito amministrativo. Nel quarto e nell’art. 188 C.d.S., comma 5, sono infatti contemplate tutte le possibili ipotesi di abuso delle strutture stradali riservate agli invalidi, dalla loro utilizzazione in assenza di autorizzazione, o fuori delle condizioni e dei limiti dell’autorizzazione, all’uso improprio dell’autorizzazione.
Soprattutto il confronto tra “l’eccesso d’uso” e “l’uso improprio” dell’autorizzazione, è illuminante della volontà del legislatore di “coprire” con la norma speciale anche i casi di chi utilizzi indebitamente un permesso invalidi altrui, consentendo anche in questo caso l’operatività del principio di specialità di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 9, applicabile quando il medesimo fatto sia punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa (cfr., ad es., in tema di inottemperanza del conducente di un veicolo all’invito a fermarsi da parte di un ufficiale di polizia municipale Corte di Cassazione 17/09/2008 Beninati, che ha ritenuto ravvisabile in questo caso, l’illecito amministrativo previsto dall’art. 192 C.d.S., comma 1, e non il reato di inosservanza dei provvedimenti dell’autorità previsto dall’art. 650 c.p.).
3. – Ne consegue il rigetto del ricorso.
P.Q.M.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Seconda Penale, rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2011.
Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2011