di CESARE GESMUNDO
(Avvocato e ricercatore)
Rif. Normativi: art. 7 CEDU, art. 42 Cost., art. 11 preleggi, 2 c.p., 200 c.p.; art. 202 c.p., art. 240, cpv. c.p.; D.L. n. 92 del 2008, art. 10, comma 1, lett. d), n. 4; L. 15 luglio 2009, n. 94 (art. 18 Codice Antimafia).
Giurisprudenza: per l’equiparazione della misura di prevenzione patrimoniale alle misure di sicurezza e negazione della rilevanza della correlazione temporale, si sono espresse le Sezioni Unite, 03.07.1996, n. 18, Simonelli; Cass., sez. I, 17 maggio 2013 (dep. 23 settembre 2013), n. 39204, Ferrara e altri; Cass., 9 novembre 2012, n. 12003, B. e altri; Cass., sez. II, 14 marzo 2012, n. 21894, C.F., in Cass. pen. 2013, 4, 1600; Cass., sez. V, 20 gennaio 2010, n. 16580, De Carlo; Cass., 20 gennaio 2010, n. 11006; Cass., 26 maggio 2009, n. 26751; Cass., n. 1442 del 2012; Tribunale di S. Maria C.V., 2 maggio 2012, in dirittopenalecontemporaneo, 2012.
Per la natura sanzionatoria della confisca e rilevanza della correlazione temporale, si sono espresse Cass.,V, 25.3.2013, n. 14044, Occhipinti; Cass, VI, 4.3.2013, nr. 10153, Colì; Corte europea dei diritti dell’uomo, 8 giugno 1976, Engel e altri.
Dottrina: M. De Salvia, Lineamenti di diritto europeo, Padova, 1991, pp. 140-141; A.M. Maugeri, La confisca misura di prevenzione ha “natura oggettivamente sanzionatoria” e si applica il principio di irretroattività: una sentenza “storica”?, in Dirittopenalecontemporaneo, 2013; N. D’ASCOLA, Il progressivo sdoppiamento della confisca come risposta dell’ordinamento al fatto-reato e come strumento di controllo delle manifestazioni sintomatiche di pericolosità «patrimoniale», in A. Bargi, A. Cisterna (a cura di), La giustizia penale patrimoniale, I tomo, Torino 2011, pp. 125 e ss; A. BALSAMO, G. LUPARELLO, La controversa natura delle misure di prevenzione patrimoniali, in Misure di prevenzione di S. Furfaro, Torino, 2013, pp. 311 e ss; O. MAZZA, La decisione della confisca dei beni sequestrati, in Misure di prevenzione di S. Furfaro, Torino, 2013, pag. 483; V. MAIELLO, Confisca, CEDU e diritto dell’Unione tra questioni irrisolte ed altre ancora aperte, in Diritto Penale Contemporaneo, Rivista trimestrale, 2012, n. 3 – 4, 15 ss.; G. FIANDACA, voce Misure di prevenzione (profili sostanziali), in Digesto pen., vol. VIII, Utet, 1994.
Questione di diritto: “Se la previsione contenuta nella legge n. 94 del 2009 che, modificando l’art. 2-bis della legge n. 575 del 1965, consente al giudice di applicare le misure di prevenzione patrimoniale anche prescindendo dalla verifica di attualità della pericolosità del proposto riguardi le sole fattispecie realizzatesi dopo l’entrata in vigore della modifica o se trovi piuttosto applicazione, anche per la confisca di prevenzione, l’art. 200 c.p. dettato per le misure di sicurezza, così da favorire la retroattività della norma in questione”.
Natura della misura di prevenzione patrimoniale e sua retroattività o irretroattività?
note a Cassazione penale, sez. VI, 11.3.2014 (ud. 30.1.2014), n. 11751, Spinelli.
Lo scenario giurisprudenziale, nella delicata e complessa materia della confisca nella sua qualità di misura di prevenzione patrimoniale, si arricchisce di una importante e coraggiosa operazione ermeneutica posta dalla ordinanza n. 11751 del 2014.
Il pronunciato rimette alla decisione delle Sezioni Unite penali una questione di diritto molto dibattuta nella dottrina penalistica italiana ed europea e recentemente ripresa dalla sentenza della Quinta sezione penale della Suprema Corte del 25.3.2013, n. 14044, Occhipinti.
La quaestio iuris attiene, giustappunto, alla natura della misura di prevenzione patrimoniale.
La sentenza in esame da contezza del primo e prevalente orientamento giurisprudenziale, che, in buona sostanza, parifica la ricordata misura di prevenzione alle misure di sicurezza o, meglio, tertium genus costituito da una sanzione amministrativa equiparabile, quanto al contenuto e agli effetti, alla misura di sicurezza.
L’impostazione seguita dal prevalente orientamento giurisprudenziale è stata, da ultimo, riaffermata dalla sentenza della I sezione penale della Suprema Corte, 17 maggio 2013 (dep. 23 settembre 2013), n. 39204, Ferrara e altri, in Riv. pen. 2013, 11, 1122, con due massime: “la previsione contenuta nella l. n. 94 del 2009, che modificando l’art. 2 bis l. n. 575 del 1965, consente al giudice di irrogare le misure di prevenzione patrimoniali anche prescindendo dalla verifica della pericolosità attuale del proposto, si applica anche alle fattispecie realizzatesi prima dell’entrata in vigore della legge citata” e “in tema di misure di prevenzione patrimoniali, la disciplina contenuta nell’art. 2 bis, comma 6 bis, della legge n. 575/1965, quale modificato dall’art. 2, comma 22, della legge 15 luglio 2009 n. 94 (ora trasfuso nell’art. 24 del D.L.vo n. 159/2011), nel senso che l’applicazione della confisca non richiede più l’accertamento dell’attuale pericolosità del preposto, può trovare applicazione anche nel caso che l’acquisto dei beni ritenuti confiscabili sia avvenuto anteriormente all’entrata in vigore della suddetta legge di modifica”.
La Corte, con la sentenza Ferrara, ragiona, in modo convincente, sulla base della politica criminale sottesa alla materia della confisca antimafia ed dell’interesse pubblico alla eliminazione dal circuito economico di beni di sospetta illegittima provenienza.
La confisca di prevenzione, insomma, si fonda e si giustifica sull’origine criminale dei beni, che rappresentano un fattore di inquinamento del mercato e dell’economia, e che, quindi, devono essere confiscati per ciò solo, indipendentemente da valutazioni in termini prognostici di pericolosità criminale di colui che ne abbia la titolarità o disponibilità.
Nell’affermare i principi di diritto sopra massimati, la Corte conclude, con la citata sentenza Ferrara, che “il venir meno del presupposto della pericolosità sociale non ha modificato la natura della confisca di prevenzione, da intendersi sempre come sanzione amministrativa, equiparabile, quanto al contenuto e agli effetti, alla misura di sicurezza della confisca di cui all’art. 240, comma 2, c.p., per cui ad essa si applica il disposto dell’art. 200 c.p.”
La conseguenza giuridica di questa parificazione è, dunque, la retroattività della disciplina innovativa sul presupposto della ritenuta applicabilità alle misure di prevenzione patrimoniali del disposto di cui all’art. 200 c.p., dettato per le misure di sicurezza.
Per converso, la Suprema Corte, con l’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, esplica il ragionamento giuridico circa l’applicabilità, nel caso di specie, del dato normativo generale offerto dall’art. 11 preleggi e dall’art. 2 c.p., in ragione della ritenuta natura meramente sanzionatoria ed afflittiva delle misure reali in questione, con conseguente irretroattività delle novità introdotte dalle novelle del 2008 e del 2009, poi pedissequamente confluite nel Codice Antimafia (D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 18, comma 1).
Natura sanzionatoria ed afflittiva che la Corte fa discendere dalla separazione (actio in rem) della misura reale da quella personale. Venuto meno il presupposto indefettibile che lega la misura patrimoniale al requisito della attualità della pericolosità sociale, a ben vedere, non si comprende come possa essere ricondotta la confisca di prevenzione nella categoria delle misure di sicurezza.
Inoltre, la Suprema Corte per ricondurre la confisca di prevenzione, in assenza di attualità della pericolosità sociale del proposto, usa il linguaggio della giurisprudenza della Corte EDU circa la nozione di “materia penale” che per la Corte di Strasburgo è da interpretare in senso “ampio”: cioè “ricomprensiva non solo del penale in senso stretto, ma di tutte le misure aventi carattere afflittivo, che perseguono finalità di prevenzione generali e speciali”.
Seguendo questa impostazione dommatica resterebbe, dunque, preclusa la possibilità, per le situazioni di pericolosità emerse precedentemente, di comminare la confisca di prevenzione in assenza del requisito della attualità della pericolosità sociale da riferire al proposto alla misura di prevenzione.
Questa ultima impostazione, alla base della sentenza Occhipinti è, per buona parte, possibile rinvenire anche nella sentenza della Sesta sezione penale, 4.3.2013, nr. 10153, Colì.
Cassazione penale sez. VI, 11.03.2014 (ud. 30.1.2014), nr. 11751, Spinelli.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GARRIBBA Tito – Presidente –
Dott. PETRUZZELLIS Anna – Consigliere –
Dott. DI STEFANO Pierlui – Consigliere –
Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere –
Dott. PATERNO’ RADDUSA B. – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
S.G. N. IL (OMISSIS);
D.R.G. N. IL (OMISSIS);
avverso il decreto n. 20/2011 CORTE APPELLO di L’AQUILA, del
30/11/2012;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. BENEDETTO PATERNO’
RADDUSA;
lette le conclusioni del PG Dott. Aniello che ha chiesto rigettare i
ricorsi o in subordine rimettere gli stessi alle SS.UU..
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. S.G. e D.R.G. hanno proposto, tramite il medesimo fiduciario, autonomi ricorsi per Cassazione avverso il decreto della Corte di Appello di L’Aquila con il quale è stata data parziale conferma alla confisca di prevenzione, disposta dal Tribunale di Teramo, relativa a diverse utilità ritenute nella disponibilità delle ricorrenti.
2. Si segnala all’uopo nei due ricorsi, assolutamente identici nei temi prospettati, che la Corte territoriale avrebbe ritenuto di procedere ugualmente alla confisca in ragione della affermata retroattività delle disposizioni normative (L. n. 125 del 2008, e L. n. 94 del 2009) che hanno novellato la L. n. 575 del 1965; ciò in considerazione della correlata equiparazione delle misure di prevenzione patrimoniale alle misure di sicurezza ex art. 240 c.p., con conseguente applicabilità alle stesse del dato normativo offerto dall’art. 200 c.p., tanto da pervenire, in tal modo, all’ingiustificato ampliamento della platea dei soggetti destinatari della ablazione in prevenzione nonchè all’aggressione di beni, quali quelli nella titolarità delle ricorrenti, acquistati precedentemente alla entrata in vigore di tali novità legislative.
3. Con requisitoria scritta la Procura Generale ha chiesto rigettarsi i ricorsi o in subordine rimettere alle SS UU di questa Corte l’evidenziato conflitto tra gli opposti orientamenti emersi in alcuni arresti di legittimità, espressamente richiamati, in punto alla retroattività delle sopra citate novelle legislative avuto riguardo,in particolare, alla possibilità di procedere alla ablazione in prevenzione malgrado la non attualità della pericolosità sociale del proposto così da colpire acquisti non proporzionati alle relative disponibilità reddituali ed economiche posti in essere da soggetti il cui profilo di pericolosità (non più attuale) sarebbe emerso precedentemente alla entrata in vigore delle suddette innovazioni normative.
3. Con memoria difensiva depositata il 21 gennaio 2014 a firma dell’avvocato Salvino Mondello nell’interesse della D.R. G., nel replicare alle conclusioni della Procura Generale, viene negata in radice la possibilità di procedere alla confisca perchè era da ritenersi insussistente a monte il profilo della pericolosità, già assorbito, in negativo, da un precedente giudicato, dato quest’ultimo in precedenza non indicato nel ricorso pur essendo stato espressamente considerato, il detto precedente, nel decreto impugnato ; risulta poi meglio precisata la tesi in diritto volta a sostenere l’irretroattività delle norme applicate sul presupposto della non equiparabilità della confisca di prevenzione a quelle di sicurezza di cui all’art. 240 c.p., facendo all’uopo perno su un recente arresto in tal senso reso da questa Corte (la sentenza 14044/13 resa dalla 5^ Sezione) in linea, del resto, con quanto segnalato anche dalla Procura Generale.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. La vicenda processuale che occupa ruota intorno al tema della retroattività delle innovazioni legislative apportate, per le misure di prevenzione patrimoniale di cui alla L. n. 575 del 1965, dal D.L. 23 maggio 2008, art. 10, comma 1, lett. C, n. 2, (convertito nella L. n. 125 del 208) e L. n. 94 del 2009, art. 22, comma 2; disposizioni che hanno novellato il tenore della citata L. n. 575 del 1965, art. 2 bis, comma 6 bis, (applicabile alla specie ratione temporis in considerazione del disposto di cui al successivo D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 117, oggi chiamato a disciplinare unitariamente la materia della prevenzione), definitivamente recidendo il rapporto di accessorietà necessaria tra misure di prevenzione personali e patrimoniali così da favorire l’irrogazione di queste ultime a prescindere dalla applicazione delle prime a motivo della oramai esclusa indefettibilità del requisito della attualità della pericolosità sociale, rimasto imprescindibile solo per le misure personali.
Vero è che il dato normativo introdotto dalle novelle citate, nel suo tenore letterale, sembra ancor più radicalmente sganciare l’applicazione delle misure reali di prevenzione dalla presenza stessa del requisito della pericolosità sociale: ma nella costante e condivisa lettura fornita da questa Corte della L. n. 575 del 1965, art. 2 bis, comma 6 bis, modificato dai citati interventi normativi (oggi pedissequamente riproposto dal vigente D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 18, comma 1) si afferma costantemente che il requisito della pericolosità costituisce presidio imprescindibile dell’applicazione di qualsivoglia misura di prevenzione, personale o patrimoniale, differenziandosi le seconde dalle prime solo in punto al profilo della attualità della pericolosità, chiesto per le personali ma non necessario per le patrimoniali (tra le tante cfr da ultimo Sez. 6, Sentenza n. 10153 del 18/10/2012 Rv. 254545). Per contro, per quanto già anticipato dalla Procura Generale con la requisitoria scritta, è sulla retroattività di tali innovazioni legislative che è recentemente emerso un conflitto interpretativo conclamato da due contrastanti arresti resi da questa Corte; conflitto le cui le cui connotazioni si ritengono tali da determinare la rimessione della questione alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 618 c.p.p..
5. Nel caso in esame, misure personali e patrimoniali furono contestualmente chieste dalla Procura competente ai danni di entrambe le ricorrenti. Il Tribunale in primo grado ebbe a negare la misura personale in ragione della inattualità della pericolosità sociale ascrivibile alle suddette; ciò malgrado, proprio in forza della ritenuta retroattività delle citate novelle legislative, motivata dalla affermata applicabilità alla specie del disposto di cui all’art. 200 c.p., i Giudici del merito, hanno ugualmente disposto la confisca delle utilità in sequestro pur se pacificamente la pericolosità riferita alle odierne ricorrenti, comunque incidentalmente valutata, si legava a contegni tutti antecedenti l’entrata in vigore delle innovazioni normative in oggetto.
6. La questio iuris posta al centro della odierna vicenda processuale attiene, per l’appunto, al tema della retroattività della disciplina innovativa in disamina sul presupposto della ritenuta applicabilità alle misure di prevenzione patrimoniali del disposto di cui all’art. 200 c.p., dettato per le misure di sicurezza : dovesse per contro applicarsi alla specie il dato normativo generale offerto dall’art. 11 preleggi, e dall’art. 2 c.p., in ragione della ritenuta natura meramente sanzionatoria ed afflittiva delle misure reali in questione, con conseguente irretroattività delle novità introdotte dalle novelle in rassegna, resterebbe preclusa la possibilità, per le situazioni di pericolosità emerse precedentemente, di comminare la confisca di prevenzione in assenza del requisito della attualità della pericolosità sociale da riferire al prevenuto.
7. Prima delle modifiche normative apportate negli anni 2008 e 2009 la Giurisprudenza di questa Corte era consolidata nel ritenere la retroattività dei dati normativi afferenti il tema della prevenzione patrimoniale in ragione di una sostanziale equiparazione, quanto a contenuto ed effetti, della confisca ex L. n. 575 del 1965, alle misure di sicurezza ex art. 240 cpv. c.p., con conseguente estensione alle prime dei dato normativo dettato dall’art. 200 c.p., per le seconde.
Soluzione questa che trova la sua più nota espressione nei principi dettati dalla sentenza delle SS UU n. 18/96, Simonelli che, nel definire il tema legato alla possibilità di applicare la misura di prevenzione patrimoniale malgrado l’intervenuto decesso del proposto (situazione in precedenza non regolata, come oggi, da apposita previsione normativa) ha escluso la natura meramente preventiva dell’intervento in questione (per la definitività degli effetti ablativi) provvedendo a sussumerla piuttosto nell’ambito di un tertium genius, di una generica categoria di sanzioni amministrative parificabili – per contenuto ed effetti – alla misura di sicurezza di cui al ricordato art. 240 cpv. c.p..
Si è sottolineato in proposito, nel citato arresto delle Sezioni Unite, che la ratio sottesa ai provvedimenti in esame – adottabili nell’ambito del procedimento di prevenzione – andava rintracciata nella esigenza di colpire beni e proventi di natura presuntivamente illeciti perchè acquistati da soggetti socialmente pericolosi senza il supporto di una proporzionata capacita reddituale ed economica così da giungere alla esclusione degli stessi dal cosiddetto circuito economico; ratio che, nel ritenere delle SS UU, ben si ricollega, seppur con un ambito di estensione non identico, alle ipotesi previste dal citato art. 240 c.p., cpv. nn. 1 e 2 che, come è noto, prescindono dalla condanna – da un’affermazione di responsabilità accertata in sede penale – con la conseguente applicabilità anche nel caso di proscioglimento, quale che sia la formula (art. 205 cod. pen.)”. Muovendo da tale equiparazione si è dunque nel tempo radicata l’idea della retroattività della disciplina normativa relativa alle misure di prevenzione patrimoniale utilizzandosi al fine il disposto di cui all’art. 200 c.p., espressamente dettato per le misure di sicurezza. E tale orientamento risulta pedissequamente ribadito, con inalterata continuità, pur dopo l’entrata in vigore delle novelle normative in disamina anche in presenza della acquisita distinzione dei presupposti di applicazione delle misure personali e patrimoniali senza che tuttavia, occorre rimarcarlo, risulti approfondita la questione della perdurante coerenza della lettura ermeneutica offerta nella equiparazione tra misure di sicurezza e misure reali di prevenzione volta che sia stato espunto, dai profili necessari per la comminazione delle seconde, quello della attualità della pericolosità (si cfr tra gli arresti più recenti le sentenze 24272/13; 21984/12; 10153/12; 1282/12).
8. A fronte di quella che sembrerebbe a prima vista una scelta consolidata va piuttosto osservato come sono in realtà solo due, ed in conflitto tra loro, gli arresti di questa Corte che, dopo le novelle in oggetto, guardano con il dovuto approfondimento alla incidenza della riforma normativa in questione sul tema legato alla effettiva natura della confisca di prevenzione, ancora oggi estranea all’area della sanzione penale o piuttosto definitivamente uscita da quella propria, sul piano contenutistico ed effettuale, delle misure di sicurezza.
9. Delle due soluzioni tracciate, una si pone in linea di assoluta continuità con il consolidato e sopra descritto orientamento tracciato da questa Corte già prima delle novelle che occupano. Ci si riferisce in particolare alla sentenza n. 39204/13, Ferrara, della sezione Prima di questa Corte; sentenza (peraltro successiva rispetto a quella, della quale si dirà da qui a poco, che ha introdotto diversi spunti critici in direzione dell’orientamento tradizionale e che con la stessa espressamente si confronta) con la quale si è ribadito che il venir meno del requisito della attualità della pericolosita sociale non ha modificato la natura della confisca di prevenzione.
9.1 Se, si sostiene, non può negarsi che l’art. 200 c.p., implica – come affermato anni addietro dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 19 del 1974 (le cui statuizioni sono state ribadite dall’ordinanza n. 392 del 1987) – la correlazione delle “misure di sicurezza alla pericolosita, che è situazione, per sua natura, attuale”, per altro verso occorre “porre mente ad un dato normativo di non secondaria importanza, ossia che la disposizione dell’art. 200 c.p., trova applicazione in materia di misure di sicurezza patrimoniali, cui sono assimilate a tal fine le misure di prevenzione patrimoniali, non già in via diretta, ma per effetto del richiamo operato dall’art. 236 c.p., che ha cura di selezionare con puntualità le disposizioni applicabili anche alle misure patrimoniali, ovviamente sul presupposto, implicito ma inequivoco, che la diversità strutturale tra i due tipi di misure impedirebbe la naturale estensione di disciplina dettata espressamente per le prime.
Ciò vale, per quel che qui interessa, per la disposizione di cui all’art. 200 c.p., comma 1, che per la riferibilità diretta alla misure di sicurezza personali implica la situazione di pericolosità, necessariamente attuale – secondo quanto precisato dalla giurisprudenza costituzionale – se afferisce alla persona. Non si può, infatti, definire una pericolosita personale che non sia attuale, essendo irragionevole ipotizzare che ad una persona non più pericolosa si possano applicare misure di sicurezza personali.
Diverse valutazioni devono invece farsi per le misure patrimoniali, perchè, rispetto ai beni, di pericolosita può dirsi in modo non sovrapponibile. Non ha significato rispetto ad una res, in special modo per quelle la cui pericolosità sia collegata alle modalità di acquisizione alla titolarità di un soggetto e quindi alla loro origine patrimoniale, l’assunto che la pericolosita debba essere per necessità attuale, perchè la strutturale staticità dei beni non consente evoluzioni apprezzabili sul piano del giudizio di pericolosità che non siano talmente radicali da identificarsi con l’evento ablatorio, costituito appunto dalla confisca, e quindi con la rottura del nesso originario di illecita acquisizione al patrimonio”.
9.2 “E’ pur vero” – si sostiene ancora nella sentenza in oggetto – che “prima delle novelle normative del 2008 e del 2009, il principio desumibile dal sistema di prevenzione patrimoniale era che le misure del sequestro e della confisca trovavano fondamento non soltanto nei caratteri dei beni che ne erano oggetto, perchè esse si rivolgevano “non a beni come tali, in conseguenza della loro sospetta provenienza illegittima, ma a beni che, oltre a ciò,…(erano) nella disponibilità di persone socialmente pericolose…”, sì che “la pericolosità del bene…(era) considerata dalla legge derivare dalla pericolosità della persona che ne…(poteva) disporre” – Corte cost., sentenza n. 335 del 1996 -. Ma la più volte menzionata riforma, nel concentrare l’attenzione sulla pericolosità del bene, connessa direttamente alle modalità di acquisto, non ha mutato la natura della confisca, che può ancora essere ritenuta priva di carattere sanzionatorio di natura penale”; piuttosto deve “prendersi atto che l’affrancamento dall’attualità della pericolosità del proposto non ha comportato alcun riassestamento dell’istituto, quanto, se mai, un rafforzamento dell’efficacia rispetto all’originario fine… per aver “approfondito una tendenza che percorreva da tempo la materia, senza quindi comportare alcuna frattura col precedente sistema. Il vero è che l’interesse, pubblico all’eliminazione dal circuito economico di beni di sospetta illegittima provenienza, per l’appartenenza del titolare ad associazioni di tipo mafioso, sussiste per il solo fatto che quei beni siano andati ad incrementare il patrimonio del soggetto e prescinde dal fatto che perduri in capo a quest’ultimo lo stato di pericolosità, perchè la finalità preventiva che si intende perseguire con la confisca risiede proprio nell’impedire che il sistema economico legale sia funzionalmente alterato da anomali accumuli di ricchezza, quale che sia la condizione del soggetto che poi si trovi a farne in qualsiasi modo uso”.
10. Assume valutazioni e perviene a conclusioni di segno diametralmente opposto l’altro arresto di questa Corte che assegna al tema in disamina, alla luce del novum portato dalle novelle del 2008 e del 2009, il dovuto approfondimento. Si tratta in particolare della sentenza n. 14044/13, Occhipinti, della Quinta sezione della Corte cui fanno riferimento la Procura generale nella attenta requisitoria scritta e la difesa della D.R. nelle memorie allegate ai sensi dell’art. 611 c.p.p..
10.1 Nella sentenza in questione si rimarca che la ratio della più volte affermata equiparabilità tra misure di sicurezza e misure di prevenzione “deriva dalla presa d’atto della natura e della funzione delle seconde, da applicarsi non già quale diretta conseguenza di un determinato fatto (come accade invece per le pene, da ricollegare a fatti che costituiscano reato), bensì avuto riguardo alla condotta di vita del proposto, tale da farne desumere quella attuale pericolosità sociale che è pacificamente il fondamento per dare corso a misure di sicurezza, ex art. 202 c.p…. E’ dunque innegabile che, in tanto esiste una possibilità di equiparazione fra le due tipologie di misura, in quanto se ne individui un comune presupposto nella verifica della perdurante pericolosità del soggetto che ne sia destinatario: una pericolosità che dovrà comunque sussistere (sia pure se affermata in base a presunzioni) nel momento in cui il giudice della prevenzione sia chiamato a provvedere, proprio perchè è ad una pericolosità in atto che la legge eventualmente, anche sopravveniente – mira a porre rimedio”. Laddove, dunque, di quel giudizio di attuale pericolosità sociale si possa fare a meno, così come accade ora per le misure di prevenzione patrimoniali, viene di conseguenza posta in dubbio dalla Corte la possibilità di “ricavare regole formali per la disciplina di quel procedimento da una norma – l’art. 200 c.p. – che fonda la sua ragion d’essere proprio su quell’indefettibile presupposto” giacchè è in nome della dell’attualità della pericolosità sociale che la giurisprudenza, sino all’entrata in vigore della L. 15 luglio 2009, n. 94, ha operato l’equiparazione delle misure di sicurezza e di prevenzione ai fini dell’applicabilità alle seconde della disciplina dell’art. 200 c.p., dettata per le prime; ed è sempre sulla base del requisito dell’attualità della pericolosita sociale che l’art. 200 c.p., ha superato il vaglio della Corte Costituzionale, la quale con sentenza n. 19 del 1974 prima e con ordinanza n. 392 del 1987 poi, ha chiarito che la legittimità dell’art. 200 c.p., si fonda proprio su tale requisito, sicchè inconferente è il richiamo alla ritenuta retroattività delle misure di sicurezza attesa la correlazione delle misure alla pericolosita, che è situazione, per sua natura, attuale”.
10.2 Nella sentenza in esame la Corte non manca di evidenziare:
– che “in tutte le pronunce emesse dalla giurisprudenza sovranazionale in tema di confisca di prevenzione si afferma, oltre alla non necessità di una precedente condotta costituente reato, la doverosità di accertare la pericolosità del soggetto che ne sia destinatario, quale presupposto giustificativo di un intervento ablatorio sia pure non di carattere penale – strumentale alla tutela di pubblici interessi”;
– che non di rado, gli stessi arresti della Corte destinati a porsi nel solco interpretativo consolidato dalla esperienza giurisprudenziale precedente alle riforme in interesse, individuano nello stato di attuale pericolosità sociale del proposto il presupposto legittimante l’applicazione retroattiva del dato normativo novellato (si fa espressamente riferimento a Cass., Sez. 6, n. 11006 del 20/01/2010, Cannone);
– che la giurisprudenza di questa Corte avrebbe già assunto posizioni contrastanti rispetto alla idea della retroattività della disciplina in disamina avuto riguardo a peculiari fattispecie di misure di prevenzione patrimoniale, id est la confisca per equivalente, prevista dalla L. n. 575 del 1965, art. 2 ter, comma 10 (così come novellato dal D.L. n. 92 del 2008, art. 10, comma 1, lett. d), n. 4, conv. in L. n. 125 del 2008), la quale, per quanto affermato dalla sentenza n. 11768/12 della prima sezione di questa Corte, appare caratterizzata dai tratti distintivi di una vera e propria sanzione così da risultare estranea al principio generale della retroattività delle misure di sicurezza sancito dall’art. 200 c.p., in quanto può riguardare beni che, oltre a non avere alcun rapporto con la pericolosità individuale del reo, neppure hanno alcun collegamento diretto con il singolo reato… e la cui ratio è quella di privare il reo di un qualunque beneficio economico derivante dall’attività criminosa, anche di fronte all’impossibilità di aggredire l’oggetto principale, nella convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale strumento”.
10.3 La sentenza nr 14044/13 non si sottrae infine al confronto con la ratio che attualmente può ritenersi effettivamente fondante il contrario e consolidato orientamento interpretativo, quella della pericolosità da riferire, alla luce delle riforme nel tempo adottate in materia di prevenzione patrimoniale, non al proposto bensì ai beni oggetto dell’intervento ablativo nell’ottica che iscrive la prevenzione patrimoniale all’egida tipica delle actio in rem, laddove il requisito della attualità della pericolosità viene considerato ontologicamente immanente al bene acquistato dal soggetto pericoloso, essendo di poi indifferente che quest’ultimo mantenga attuale la pregressa pericolosità, presente al momento dell’acquisizione dell’utilità ablata.
Una tale soluzione, corretta che sia a monte la valutazione diretta a distinguere, sul piano della retroattività sancita dall’art. 200 c.p., il profilo della pericolosità tra misure personali e patrimoniali alla luce dell’indistinto riferimento contenuto nell’art. 202 c.p., (che lascia pensare alle misure di sicurezza anche patrimoniali come strumenti diretti a contrastare un stato di accertata pericolosità, per forza di cose attuale: cfr la citata sentenza nr 11768/2012 ), sembra presupporre sul piano logico, per come traspare anche dalla motivazione della sentenza Ferrara sopra richiamata, una forte correlazione cronologica tra la pericolosità del proposto e il momento di acquisizione dell’utilità da confiscare giacche è la prima che rende pericolosa la seconda in funzione dell’intervento in prevenzione.
In questo quadro di riferimento, nella sentenza Occhipinti:
– viene dato puntuale rilievo agli arresti della Corte (si cita la sentenza n. 18822 del 23/03/2007, Cangiatosi, ma più recentemente si veda la già citata sentenza n. 10153/13) che pur confermando il dato della irrettroattività delle norme dettate in materia di prevenzione patrimoniale finiscono per affermare la necessaria correlazione cronologica che deve correre tra acquisizione ed emergere della pericolosità, essendo quest’ultima a dare carattere di pericolosità alla prima; al contempo, a siffatto orientamento viene subito accostato quello, contrario ed assolutamente prevalente nella esperienza di questa Corte (cfr le sentenze N. 21717 del 2008 Rv.
240501, N. 25558 del 2009 Rv. 244150, N. 35175 del 2009 Rv. 245363, N. 35466 del 2009 Rv. 244827, N. 4702 del 2010 Rv. 246084, N. 39798 del 2010 Rv. 249012, N. 18327 del 2011 Rv. 25022; nr 27298/11;
35240/13) in ragione del quale, alla luce del tenore letterale della L. n. 575 del 1965, art. 2 ter, una volta accertata la pericolosità sociale, è indifferente, ai fini della confisca, che le utilità oggetto di interesse siano state acquistate precedentemente o successivamente all’emergere della stessa non essendo stato previsto, per la confisca di prevenzione, alcun nesso di pertinenzialità con una determinata attività illecita ma una generalizzata apprensione di beni volta che sia stato accertato, quale che ne sia l’epoca di riferimento, il presupposto della pericolosità sociale del proposto nonchè quello della sproporzione reddituale ed economica.
Alla luce di quanto sopra, evidenzia in conclusione la sentenza in disamina, ne deriva che se la confisca di prevenzione, in linea con l’orientamento prevalente, può legittimamente riguardare beni privi di concreto collegamento anche temporale con i fatti giustificativi della misura sul piano della pericolosità del proposto, ispirandosi alla generale finalità di escludere che un soggetto possa ricavare qualsivoglia beneficio economico da attività illecite, appare in conseguenza arduo, almeno con riferimento ad ipotesi in cui la misura di prevenzione patrimoniale possa addirittura svincolarsi da un necessario accertamento di attuale pericolosità sociale del proposto, continuare ad escluderne una natura oggettivamente sanzionatoria”.
11. In ragione di tanto, sembra al Collegio che il rilievo ponderale da ascrivere ai profili di criticità sollevati dalla sentenza Occhipinti imponga la rimessione della questione alle Sezioni Unite avuto riguardo alla effettiva possibilità di procedere, secondo il consolidato orientamento espresso sul tema da questa Corte, alla equiparazione tra misure di sicurezza e misure di prevenzione patrimoniale una volta espunto, in esito alle novelle più volte citate, dai profili costitutivi della confisca di prevenzione, il requisito della attualità della pericolosità; questione cui sono peraltro immediatamente correlati gli ulteriori sviluppi interpretativi legati alla retroattività delle novelle oggetto di interesse in esito alla coerente individuazione della natura effettiva della confisca in disamina, nonchè quello del legame logico e temporale che deve intercorrere tra emergere della pericolosità e momento di acquisizione delle utilità da ablare.
PQM
P.Q.M.
Rimette i ricorsi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2014.
Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2014