Sommario:1. La questione posta al giudice dell’esecuzione penale; 2. Il decisum; 3. La giustificazione esterna della ordinanza e la sua criticità.
1. La questione posta al giudice dell’esecuzione penale.
Con incidente di esecuzione, la difesa dello J. G. prospettava al Giudice Monocratico (in funzione di giudice dell’esecuzione penale) la possibile revocabilità, ai sensi dell’art. 673 c.p.p., della sentenza di condanna (divenuta irrevocabile) nei confronti dello stesso per il reato di cui all’art. 14, comma 5-ter T.U. 286/98.
A tal uopo, l’istante sosteneva che a seguito della nota sentenza della Corte di Giustizia Europea del 28 aprile 2011, Hassen El Dridi (causa c-61/11 PPU) che in buona sostanza affermava l’incompatibilità della norma interna (allora art. 14, comma 5-ter T.U. 286/98) con la direttiva comunitaria rimpatri (2008/115/CE), il fatto di cui alla predetta incriminazione non è previsto dalla legge come reato.
Donde, per la difesa s’imponeva la revoca della sentenza di condanna nei confronti dello straniero per l’avvenuta abrogazione del reato.
2. Il decisum.
Preso atto della richiesta dell’istante, il Giudice, però, decideva in senso opposto all’invocata revoca.
Lo stesso giustificava l’infondatezza della richiesta difensiva, attraverso due argomenti squisitamente giuridici:
1) perchè il reato di che trattasi non è stato abrogato, nemmeno in seguito alla pronuncia della Corte di Giustizia (…);
2) perchè il surriferito accertato contrasto “in bonam partem”, cioè a favore del reo, della norma incriminatrice nazionale con l’ordinamento comunitario determina solo una temporanea inefficace della norma nazionale punitiva e non anche una sua vera e propria abolizione (…).
3. La giustificazione esterna della ordinanza e la sua criticità.
L’ordinanza che si annota sembra porsi, nella sua parte giustificativa, in netto contrasto, in prima battuta con l’interpretazione voluta dalla Corte di Cassazione sulla “natura” delle sentenze della Corte di Giustizia Europea, ed in secondo luogo con le caratteristiche proprie della fattispecie censurata dalla Corte di Giustizia Europea.
Proprio per dare attuazione nell’ordinamento interno alla decisione del 2011 (El Dridi), la Suprema Corte, I sezione penale, con le due sentenza gemelle del 28.4.2011, nr. 22105 (imp. Tourchi), nr. 24009 (imp. Trajkovic) ha stabilito che “il fatto (art. 14, comma 5-ter) non è più previsto dalla legge come reato”.
La Cassazione ritiene che la sentenza deliberata a Lussemburgo, nella sua funzione«autoritativa» circa l’interpretazione delle norme dell’Unione, esplichi una «portata abolitrice della norma incriminatrice».
Dunque «il fatto non è più preveduto dalla legge come reato». Si richiama in tono adesivo il passaggio di una precedente decisione (Cass., Sez. I, 20.01.2011, imp. Titas Luca), secondo cui la pronuncia della Corte di giustizia che accerti l’incompatibilità «comunitaria» di una norma incriminatrice «si incorpora nella norma stessa e ne integra il precetto con efficacia immediata (…) così producendo “una sorta di abolitio criminis” che impone, in forza di interpretazione costituzionalmente necessitata, di estendere a siffatte situazioni di sopravvenuta inapplicabilità della norma incriminatrice nazionale la previsione dell’art. 673 cod. proc. pen.»
Ed ancora, osserva la Suprema Corte che “risulterebbe manifestamente illogica una norma che prevedesse la revoca della sentenza di condanna nel solo caso in cui la cessazione di efficacia della norma incriminatrice sopraggiungesse per abrogazione o per effetto di una declaratoria di incostituzionalità, e non anche per effetto di una pronuncia della Corte di giustizia: anche nel caso in esame (attuazione della pronuncia sul caso Schwibbert), infatti, l’obbligo di non applicazione della norma interna contrastante con quella comunitaria discendeva direttamente dalla direttiva, non dalla pronuncia interpretativa del Giudice comunitario, con la conseguenza che lo stesso doveva ritenersi sussistente già in precedenza, sin dall’emanazione della norma interna oggetto del rinvio pregiudiziale”(Sez. VII, 6 marzo 2008-29 maggio 2008, n. 21579, Boujlaib; Cass., sez. II, 15 aprile 2009, n.17814).
Nondimeno, l’ordinanza soffre difronte alla problematica sottesa alla successione di leggi penali nel tempo e quindi al rapporto tra le fattispecie penali che si succedono nel tempo.
Come si ricorderà, il d.l. 89/11 (emanato successivamente alla sentenza El Dridi e di attuazione alla direttiva rimpatri) ha dato luogo ad un problema relativo applicazione dell’ art. 2 del codice penale.
In merito, di recente la Corte di Cassazione, I sezione penale, con le sentenze del 23 settembre 2011, n. 36446 e n. 36451, ha stabilito l’importante principio secondo il quale “a seguito del D.L. 23 giugno 2011, n. 89, convertito con modificazioni nella L. 2 agosto 2011, n. 129 – recante disposizioni urgenti per completare l’attuazione della direttiva comunitaria concernente la libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento della direttiva sul rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi irregolari – la nuova formulazione del reato di ingiustificata inosservanza dell’ordine di allontanamento del questore di cui all’art. 14, comma 5-ter, del D.Lgs. n. 286/1998, non può ritenersi in continuità normativa con la precedente disposizione, dando luogo ad una nuova incriminazione, applicabile in quanto tale solo ai fatti verificatisi dopo l’entrata in vigore della normativa sopra citata.
La Corte ritiene, infatti, che l’attuale formulazione dei delitti di cui all’art. 14 “non può dirsi in continuità normativa con la precedente versione, in tal modo confermando l’avvenuta abolitio criminis, non solo per il distacco temporale intercorso tra la sua emanazione e l’emissione della direttiva comunitaria, ma anche per la diversità strutturale dei presupposti e la differente tipologia della condotta richiesta per integrare l’illecito penale in esame. Invero, in base alla nuova normativa, all’intimazione di allontanamento può pervenirsi solo dopo l’esito infruttuoso dei meccanismi agevolatori della partenza volontaria ed allo spirare del periodo di trattenimento presso un centro a ciò deputato”.
Ed invero, applicando la teoria strutturale delle fattispecie astratte, è evidente che siamo difronte ad una ipotesi di abrogatio criminis.
In conclusione, la richiesta difensiva di revoca, ai sensi dell’art. 673 c.p.p., della sentenza di condanna (divenuta irrevocabile) andava accolta.
Cesare Gesmundo
Sul rapporto tra la normativa interna e normativa comunitaria, si segnalano le seguenti opere generali:
GRASSO G. ” Comunità europee e diritto penale, Milano, Giuffrè, 1989.
RIZ R., “Diritto penale e diritto comunitario”, Milano, Giuffrè, 1984.
SGUBBI F., MANES V., “L’interpretazione conforme al diritto comunitario in materia penale”, Bologna, 2007.
Sulla questione relativa alla disapplicazione dell’art. 14, comma 5-ter, T.U. 286/1998 e la successione di leggi penali nel tempo:
AMALFITANO C., “La reclusione degli immigrati irregolari per violazione dell’ordine di allontanamento del questore non è compatibile con le prescrizione della cd.:direttiva rimpatri”, in Cassazione penale, 2011, 7-8, pag. 2786.
DE AMICIS G., “Osservazioni a Corte di Cassazione, 28 aprile 2011, n.22105, I sezione”, in Cassazione penale, 2011, 11, pag. 3769.
FAVILLI C., “L’attuazione in italia della direttiva rimpatri: dall’inerzia all’urgenza con scarsa cooperazione”, in Riv. dir.internazionale, 2011, 03, pag. 341;
GATTA G., “Abolitio criminis e successione di norme integratrici”, Milano, Giuffrè, 2008, pag. 115 e ss;
MASERA L., “Il ‘nuovo’ art. 14 co. 5 ter d.lgs. 286/98 e la sua applicabilità nei procedimenti per fatti antecedenti all’entrata in vigore del d.l. 89/2011″ in Dirittopenalecontemporaneo, 2011;
PADOVANI T.,“Tipicità e successioni di leggi penali”, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1982, pag. 1354 e ss;
VIGANO’ F., MASERA L., “Addio articolo 14. Considerazioni sulla sentenza della Corte di Giustizia UE, 28 aprile 2011, El Dridi (C-61/11 PPU) e sul suo impatto nell’ordinamento italiano”, in Dirittopenalecontemporaneo, 2011.
ORDINANZA:
TRIBUNALE DI
SANTA MARIA CAPUA VETERE
(Ufficio del Giudice monocratico)
R.G. 44/11 Mod. 16
R.G. 599/11 I.E.
Il giudice dell’esecuzione penale dott. Alberto Maria Picardi;
letta l’istanza,
fissata l’udienza camerale,
sentite le osservazioni delle parti
che l’istanza è infondata.
Ed invero, la accertata “incompatibilità comunitaria” della norma incriminatrice nazionale – come quella per cui è causa in seguito al noto arresto della C.G.U.E. n. 61/2011 con riferimento all’art. 14, comma 5-ter. D.Lgs. 286/98 nella formulazione all’epoca vigente – determina soltanto, nel caso in cui il processo penale è ancora in corso, l’obbligo del giudice nazionale di prosciogliere l’imputato con la formula “perché il fatto non sussiste”.
Tale incompatibilità non impone, però, nel caso in cui la sentenza di condanna sia passata in giudicato, alcuna ulteriore modifica o declaratoria “in executivis” di proscioglimento, da parte del G.E., perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, e ciò :
– perché il reato di che trattasi non è stato abrogato dal legislatore nazionale, nemmeno in seguito alla pronuncia di cui sopra della Corte di Giustizia, ma è stato solo modificato allo scopo di rendere, il precetto, compatibile con le statuizioni della Corte stessa;
– perché il surriferito accertato contrasto “in bonam partem”, cioè a favore del reo, della norma incriminatrice nazionale con l’ordinamento comunitario determina solo una temporanea inefficacia della norma nazionale punitiva e non anche una sua vera e propria abolizione, ciò in ossequio al principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità e costituzionale, della duplicità, e conseguente autonomia, degli ordinamenti nazionale e comunitario.
P.Q.M.
Letti gli artt. 666, 673 c.p.p.,
l’istanza di revoca della sentenza di condanna emessa il 14-1-11 dal Tribunale di Santa Maria C.V., irrev. Il 29-4-11, nei confronti di J. G.
Si comunichi.
Santa Maria Capua Vetere, addì 4 aprile 2012.
IL GIUDICE
Dott. Alberto Maria Picardi